Le tabelle del think tank belga Bruegel parlano chiaro: con il nuovo Patto di Stabilità l’Italia dovrà effettuare nel settennio 2025-2031 tagli alla spesa pubblica per (almeno) 12,5 miliardi l’anno.
“Il nuovo Patto di Stabilità è un compromesso, se un compromesso verso il basso o verso l’alto io ho detto e ribadisco che le valutazioni le faremo tra qualche tempo”. Musica e parole di Giancarlo Giorgetti, con il nostro ministro dell’Economia che, in audizione alla commissione Bilancio della Camera, ha aggiunto in merito allo storico accordo raggiunto a Bruxelles come ci sia “poco da festeggiare”.
Giorgia Meloni da giorni alle prese con una fastidiosa sindrome otolitica ancora deve fare dichiarazioni a riguardo, ma la presidente del Consiglio alla vigilia dell’Ecofin aveva fatto intendere al Senato come l’Italia avrebbe potuto mettere il veto sul Patto di Stabilità.
Del resto per l’Europa la “pacchia è finita” come ha dichiarato la premier Meloni durante l’ultima campagna elettorale quando ormai si sentiva già con un piede a Palazzo Chigi, ma poi succede che la sera prima dell’Ecofin la Francia e la Germania trovino un accordo sulla riforma del Patto di Stabilità con l’Italia che si è dovuta subito accodare facendo perdere al nostro governo la baldanza dei giorni migliori.
A Giorgia Meloni e Matteo Salvini così non è rimasto che fare la voce grossa sulla riforma del Mes - del resto a giugno ci saranno le elezioni europee - non votando la sua ratifica. Una ripicca più che una decisione presa nell’interesse del Paese: il vecchio Mes approvato dall’ultimo governo Berlusconi è sempre in piedi e a disposizione di chi lo vorrà richiedere.
Ben più pesante invece sarà il conto per l’Italia derivante dal nuovo Patto di Stabilità, con i falchi di Bruxelles che sono riusciti a rendere le procedure correttive per i Paesi non in regola con i conti praticamente semi-automatiche, a differenza del passato quando invece spesso i vari Stati membri potevano usufruire di diverse scorciatoie.
Patto di Stabilità: un salasso per l’Italia
Con il nuovo Patto di Stabilità che entrerà in vigore a partire dal nuovo anno, l’Italia avendo un rapporto tra Pil e debito pubblico superiore al 140% quando il minimo fissato dall’Ue è del 60%, sarà di certo uno di quei Paesi che dovrà mettere in atto dei piani di aggiustamento dei propri conti.
A breve il nostro governo dovrà decidere se scegliere un piano da 4 oppure da 7 anni, con la seconda opzione che è assai più probabile. Giorgia Meloni fino al 2027 - quando finirà questa legislatura - comunque potrà beneficiare di alcuni sconti sul deficit, mentre a partire dal 2028 anche questa elasticità verrà meno.
Cosa significa questo per l’Italia? Stando all’autorevole think tank belga Bruegel al nostro Paese, se come appare scontato dovesse scegliere un piano di 7 anni, sarà richiesto il raggiungimento di un saldo primario strutturale del 3,3% del Pil da conseguire entro la fine del settennio.
Per Brugel questo si tradurrà per l’Italia in un aggiustamento pari allo 0,6% di Pil annuo, ovvero circa 12,5 miliardi di tagli alla spesa pubblica ogni anno. Se consideriamo i 7 anni del piano di rientro, si arriva così a un totale di 87,5 miliardi.
Una cifra monstre di tagli alla spesa pubblica che però potrebbe essere ben superiore, visto che i 12,5 miliardi l’anno sono stati calcolati in base alle stime per l’Italia relative al 2024: se i nostri numeri dovessero peggiorare, il conto totale potrebbe superare i 90 miliardi.
Al momento il governo non ha proferito parola sulla prospettiva di questi tagli draconiani alla spesa pubblica che ci attendono nei prossimi anni, con il ministro Giancarlo Giorgetti che si è limitato ad assicurare che nel 2024 non servirà una manovra correttiva.
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