Il Parlamento europeo ha approvato il nuovo Patto di Stabilità: per l’Italia tagli draconiani alla spesa pubblica nei prossimi sette anni, Meloni tace in attesa delle europee.
Il nuovo Patto di Stabilità è stato approvato dal Parlamento europeo nella giornata di martedì 23 aprile - ultima plenaria prima delle elezioni europee di giugno - con 367 voti a favore, 161 voti contrari e 69 astensioni, ma per l’Italia non è una buona notizia e l’emblematico silenzio da parte di Giorgia Meloni fa più rumore di mille parole.
La road map della riforma del Patto di Stabilità così appare essere arrivata quasi a conclusione: il Consiglio ora deve dare la sua approvazione formale ai provvedimenti che, una volta adottati, entreranno in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, con gli Stati membri che dovranno presentare i loro primi piani nazionali entro il 20 settembre 2024.
Per quanto riguarda gli europarlamentari italiani, solo in quattro hanno votato a favore (Comi e Dorfmann del Ppe, Gozi e Vullo di Renew), mentre Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega si sono astenuti al pari del Pd, con il voto contrario invece di Movimento 5 Stelle, sinistra e Verdi.
Tra i gruppi parlamentari la nuova versione del Patto di Stabilità è stata votata dal Ppe, dai Socialisti, dai Liberali e da buona parte di Ecr, i conservatori capitanati proprio da Giorgia Meloni.
I&D invece, il gruppo di Matteo Salvini, ha votato contro anche se molti partiti hanno contestato la riforma in quanto troppo blanda: in sostanza tedeschi e austriaci alleati della Lega avrebbero voluto regole ancor più stringenti, ma il nostro ministro per qualche strano motivo ha spiegato che solo votando per loro la misura potrebbe essere cambiata, forse in peggio.
L’astensione da parte dei partiti della nostra maggioranza di governo è stata vista come una sorta di sfiducia a Giancarlo Giorgetti, visto che il ministro dell’Economia a gennaio ha giustificato il nuovo Patto di Stabilità frutto anche del suo lavoro di mediazione.
Se Meloni tace, laconico è stato il commento proprio di Giorgetti dopo quello che è successo a Strasburgo: “Dicono che è un voto di sfiducia a me? Magari, sono stanco”. Del resto i prossimi mesi saranno di fuoco per il Mef, con il ministro che sarebbe tentato di trasferirsi a Bruxelles nelle vesti di commissario europeo abbandonando così la nave prime delle tempeste previste in autunno, un po’ come fatto da Mario Draghi nell’estate 2022.
Nuovo Patto di Stabilità: una stangata per l’Italia
Parlare di altro fino alle elezioni europee - dal fascismo fino ai pro vita nei consultori e al bonus 80 euro (copyright Renzi) per la tredicesima presentato ora e approvato, forse, a fine anno -, poi da metà giugno in poi cercare di addolcire agli italiani una pillola che si appresta a essere assai amara.
Il piano di Giorgia Meloni in merito a Patto di Stabilità e procedura di infrazione - la letterina da Bruxelles arriverà pochi giorni dopo la chiusura delle urne - sembrerebbe essere chiaro, ma come un pugile che sul ring gira continuamente intorno all’avversario prima o poi il governo dovrà fare i conti - in tutti i sensi - con la dura realtà.
Il nuovo Patto di Stabilità prevede che i Paesi con un debito eccessivo saranno tenuti a ridurlo in media dell’1% all’anno se il loro debito è superiore al 90% del Pil, e dello 0,5% all’anno in media se è tra il 60% e il 90%. Se il disavanzo di un Paese è superiore al 3% del PIL, dovrebbe essere ridotto durante i periodi di crescita per raggiungere l’1,5% e creare una riserva di spesa per periodo con condizioni economiche difficili.
Per l’Italia questo significa dover scegliere tra un piano di riduzione del debito di 4 anni o uno di 7 anni: nel primo caso stando ai calcoli del Ces il taglio annuale alla spesa pubblica sarebbe di 25,4 miliardi, nel secondo invece la sforbiciata sarebbe da 13,5 miliardi.
Scenario se possibile più plumbeo per l’Italia è quello dipinto da uno studio condotto da parte dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica: “Se si volesse non solo rifinanziare le misure che si esauriranno a fine 2024, ma anche mantenere il rapporto tra debito e Pil intorno ai valori previsti a fine 2024 (137,8%) occorrerebbe introdurre misure correttive per circa 30 miliardi”.
Oltre alla combo Patto di Stabilità-procedura di infrazione, ci sono da considerare anche le stime di crescita inserite dal governo nel Def che appaiono troppo ottimistiche, con una manovra correttiva in estate che sembrerebbe essere inevitabile.
Oltre ai tagli alla spesa pubblica per una decina di miliardi all’anno nella migliore dell’ipotesi, il governo poi dovrà trovare i soldi per prorogare o rendere strutturali le misure che andranno in scadenza a fine anno, ovvero taglio al cuneo fiscale e nuova Irpef: nell’ultima legge di Bilancio sono state finanziate in deficit per un totale di circa 20 miliardi, ma questo nel 2025 non sarà più possibile farlo visto il percorso di riduzione del debito.
Insomma i prossimi sette anni saranno “lacrime e sangue” per gli italiani, con Meloni e Giorgetti che continuano a gettare la palla in tribuna in attesa di superare le elezioni europee: altro che “pacchia finita” per l’Europa, terminata la stagione degli slogan la premier magari farà un nuovo video del “diario di Giorgia” per annunciare i tagli a sanità, scuola ed enti locali oltre al probabile aumento delle tasse, il tutto sperando che una escalation militare in Ucraina non ci trascini in guerra contro la Russia.
Mala tempora currunt.
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