Pensione cinque anni più tardi dal 2022: il Presidente dell’Inps “smentisce”

Simone Micocci

01/05/2021

Secondo Pasquale Tridico la fine di Quota 100 non comporterà uno scalone di cinque anni. Nonostante la smentita, nei fatti sarà effettivamente così in quanto ci saranno persone che nel 2022 andranno in pensione con cinque anni di ritardo.

Pensione cinque anni più tardi dal 2022: il Presidente dell’Inps  “smentisce”

Ormai da mesi vi raccontiamo di cosa succederà dal 1° gennaio 2022 per quel che riguarda le pensioni: con la fine annunciata - ma non di fatto ufficializzata con il Recovery Plan - di Quota 100 si verrà a creare uno scalone di cinque anni per l’accesso alla pensione.

Cosa significa? Che chi nel 2022 matura i requisiti per andare in pensione con Quota 100 - aver compiuto 62 anni e aver maturato almeno 38 anni di contributi - dovrà tuttavia aspettare altri 5 anni per andare in pensione. 62 anni, infatti, non sono sufficienti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, che ne richiede 67; per la pensione anticipata, per la quale non si guarda al requisito anagrafico, sono invece richiesti 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne). Di fatto, dunque, chi per qualche mese non riesce a raggiungere i requisiti per Quota 100 entro il 31 dicembre di quest’anno, andrà in pensione almeno 5 anni più tardi.

Il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ritiene però bisogni dare un’interpretazione differente rispetto a cosa succederà dal 1° gennaio 2022. Questo, infatti, crede che non sia corretto parlare di scalone, poiché “non è vero che le persone andranno in pensione con cinque anni di ritardo”.

Pensione cinque anni più tardi: perché il Presidente dell’Inps non crede sia così

Durante il suo intervento presso il Festival dei consulenti del lavoro, il Presidente dell’Inps ha smentito che con la fine di Quota 100 si verrà a creare uno scalone di cinque anni per l’accesso alla pensione.

In realtà sarà proprio così, come vi abbiamo spiegato sopra, ma Tridico ha un parere differente. Nel dettaglio, questo ha spiegato che “a fine Quota 100 non avremo uno scalone perché questo stesso ha costituito uno scalino”.

Tridico, dunque, intende Quota 100 come una parentesi del sistema pensionistico italiano, servita a 286 mila persone per anticipare l’accesso alla pensione. Questo però ritiene che ci siano già altre forme di flessibilità che, in alternativa a Quota 100, consentono al lavoratore di accedere alla pensione prima dei 67 anni.

È vero, ma va anche detto che le misure alle quali fa riferimento Tridico (ad esempio a Quota 41) sono riservate ad alcune categorie di lavoratori, ossia quelle meritevoli di una maggior tutela. Non era così per Quota 100, invece riconosciuta a tutti, indipendentemente dalla categorie di appartenenza.

La smentita di Tridico, quindi, va contestualizzata: probabilmente non ci sarà un ritardo per l’accesso alla pensione per coloro che possono accedere alle altre misure di flessibilità. Ma per gli altri, per chi ha lavorato più di 38 anni e non appartiene alla platea dei fragili, effettivamente l’addio a Quota 100 andrà a generare un ritardo di cinque anni per l’accesso alla pensione.

Pensione anticipata per i fragili: la proposta di Tridico

Secondo il Presidente dell’Inps, comunque, questa è la strada giusta in cui proseguire in futuro. Non serve riconoscere flessibilità in uscita a tutti i lavoratori; basta concentrarsi sulla platea dei fragili.

A tal proposito, intervenendo al Festival dei consulenti del lavoro, questo ha descritto quella che è la sua proposta per mandare in pensione prima i lavoratori fragili. Nel dettaglio, “si potrebbe pensare ad uno scivolo a 62 o 63 anni per i cosiddetti fragili ossia per gli immunodepressi e per gli oncologici”. Persone che a causa di problemi di salute non si trovano più nella condizione ottimale per poter lavorare fino al raggiungimento dell’età pensionabile.

Nel dettaglio, per questi ci sarebbe una pensione divisa in due quote: la parte contributiva verrebbe immediatamente riconosciuta al momento della cessazione dell’attività lavorativa, mentre per quella retributiva bisognerebbe attendere il compimento dei 67 anni. In questo modo verrebbe comunque garantita la stabilità dei conti pubblici, permettendo però ai lavoratori fragili di smettere di lavorare in anticipo e tutelare maggiormente la propria salute.

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