Pensioni, in arrivo più aumenti per tutti? Ecco cosa può succedere

Simone Micocci

11 Settembre 2024 - 09:34

Il blocco della rivalutazione arriva davanti la Corte Costituzionale. Cosa può succedere? I pensionati sperano in nuovi aumenti, ma le cose potrebbero andare diversamente.

Pensioni, in arrivo più aumenti per tutti? Ecco cosa può succedere

È notizia di questi giorni che la stretta alla rivalutazione delle pensioni di importo superiore a 4 volte il trattamento minimo (circa 2.395 euro quest’anno) verrà esaminata dalla Corte Costituzionale.

Una sentenza dalla quale potrebbero dipendere miliardi: come stimato dalle ultime due manovre di Bilancio, con le quali il governo Meloni ha tagliato la rivalutazione per gli assegni di pensione di importo superiore a 4 volte il trattamento minimo, tra il 2023 e il 2024 c’è stato un risparmio di 6 miliardi di euro, ma se si guarda al lungo periodo la somma sarà ancora più elevata visto che al 2032 si prevede un risparmio di oltre 36 miliardi.

Ecco perché il passaggio in Corte Costituzionale sarà importante, per quanto va detto che non è la prima volta che i giudici della Consulta si trovano a decidere della stretta alla rivalutazione visto che anche in passato i governi hanno fatto ricorso a questa misura per recuperare risorse da utilizzare per altre misure.

E proprio quanto successo in passato potrebbe darci un’indicazione su quale potrebbe essere la sentenza della Corte Costituzionale e cosa potrebbe succedere nel caso in cui i giudici dovessero dare contro al governo.

Perché la rivalutazione delle pensioni è finita davanti la Corte Costituzionale

La rivalutazione è quel meccanismo con cui le pensioni vengono adeguate ogni anno al costo della vita, in base all’inflazione registrata dall’Istat.

È la legge n. 448 del 1998 a definire le regole di rivalutazione, stabilendo che l’adeguamento avviene al 100% del tasso per la parte di pensione che non supera di 4 volte il trattamento minimo. Per la parte che supera questa soglia ma non le 5 volte il trattamento minimo, invece, la rivalutazione è al 90%, mentre sopra le 5 volte al 75%.

Tuttavia, negli ultimi anni queste regole sono state utilizzate pochissime volte, solamente nel 2022 (quando c’era il governo Draghi). Ad esempio, il governo Meloni nel 2023 e 2024, complice un’inflazione molto elevata, ha introdotto un meccanismo a sei fasce che penalizza maggiormente gli assegni di importo superiore a 4 volte il trattamento minimo, sia perché il taglio si applica su tutta la pensione (e non solo sulla parte che eccede la soglia) che per le percentuali più basse rispetto a quelle previste originariamente.

Nel dettaglio, oggi la rivalutazione applicata è la seguente.

Fascia assegno Indice di perequazione
Fino a quattro volte il trattamento minimo 100%
Oltre 4 e fino a 5 volte il trattamento minimo 85%
Oltre 5 e fino a 6 volte il trattamento minimo 53%
Oltre 6 e fino a 8 volte il trattamento minimo 47%
Oltre 8 e fino a 10 volte il trattamento minimo 37%
Oltre 10 volte il minimo 22%

Un meccanismo che ha portato un pensionato, ex dirigente scolastico, a fare ricorso alla Corte dei Conti della Toscana, la quale ha ritenuto che ci fossero gli estremi per rimandare l’analisi della questione alla Corte Costituzionale.

Come dichiarato dalla magistratura contabile, infatti, questa penalizzazione “lede tanto l’aspettativa economica quanto la dignità del lavoratore”. Le pensioni sopra un quattro volte il minimo vengono trattate come “un mero privilegio, sacrificabile anche in un’asserita ottica dell’equità intergenerazionale”, quando piuttosto sarebbe necessario “mantenerne la proporzionalità”.

Cosa può succedere?

È importante subito spiegare che difficilmente la Corte Costituzionale andrà a ripristinare il meccanismo di rivalutazione originario per gli anni 2023 e 2024, in quanto ciò vorrebbe dire un esborso di oltre 6 miliardi di euro per lo Stato, mettendo così a rischio la stabilità dei conti pubblici.

D’altronde, anche in passato la Consulta non ha mai provveduto al recupero dei soldi persi a causa della stretta alla rivalutazione: i pensionati non devono quindi aspettarsi più aumenti per gli anni passati.

Tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale potrebbe incidere sulle decisioni future del governo. Prendiamo come esempio la sentenza n. 234 del 2020, con cui la Consulta ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui il legislatore può modificare le regole della rivalutazione per le pensioni di importo elevato, a condizione però che la durata non sia reiterata per oltre tre anni.

Come anticipato il blocco della rivalutazione, tolta la parentesi del 2022, persiste ormai da anni, per questo motivo la sentenza della Corte Costituzionale potrebbe disporre uno stop, obbligando il governo Meloni a rivedere i propri piani per il 2025 che, stando alle ultime indiscrezioni, dovrebbero prevedere ancora una perequazione tagliata per gli importi superiori a 4 volte il trattamento minimo.

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