La rivelazione dello studio di Harvard spiega cosa manca una volta smesso di lavorare e perché spesso i pensionati non sono troppo soddisfatti della loro nuova vita.
L’arrivo della pensione, spesso molto atteso per diversi lavoratori, si accompagna anche ad alcune preoccupazioni. I timori per la situazione economica sono spesso secondari a un malessere più interiore, il lato pratico viene spesso soppiantato da altri tipi di dubbi. L’attività lavorativa, anche se stancante, fornisce al contempo uno scopo, un insieme di intenti, così quando viene a mancare i pensionati fanno fatica a trovare nuovi interessi. A confermarlo è la recente conclusione di uno studio di Harvard, che ha cercato di capire cos’è che dà la felicità.
Forse a prima vista uno studio di questo genere può sembrare superfluo, non è così difficile immaginare le risposte. Allo stesso tempo, la questione della felicità non è mai banale, e per questo è da sempre un tema centrale nelle analisi filosofiche di tutto il mondo. Capire cos’è che ci rende felici può anche aiutare a comprendere come mai parte di questa felicità viene minata dal pensionamento, che cosa viene a mancare. È infatti vero che una volta raggiunta la pensione il tempo libero dovrebbe consentire di dedicarsi agli hobby e alla socialità. Ecco perché molto spesso si fatica a comprendere lo stato d’animo dei neopensionati, che magari hanno anche faticato parecchio prima di tagliare un sudato traguardo.
Anche lo studio di Harvard sulla felicità ha superato l’età pensionabile
Lo studio di Harvard riguardo alla felicità viene classificato come recente, perché recenti sono le conclusioni fornite dall’università. Con precisione, però, questo studio è iniziato nel 1938 e si protrae quindi da ben 85 anni. Non sembra neanche così lungo come periodo se si pensa all’enormità del quesito: per capire cos’è che rende felici è necessario analizzare la questione sul lungo termine, prendendo in considerazione molte persone nelle diverse fasi della loro vita.
Questo è proprio quello che ha fatto Harvard, con un campione di studio di 724 persone da tutte le parti del mondo. La felicità, infatti, dovrebbe essere un istituto universale, che non conosce distinzioni di etnia, cultura o età. Di certo, tuttavia, questi fattori hanno una certa influenza sulla concezione che ognuno ha a riguardo e soprattutto sul livello di soddisfazione a cui si aspira.
Quello che ti rende felice è proprio quello che ti mancherà quando smetterai di lavorare
Per i partecipanti pensionati, ma anche a quelli in attesa del pensionamento, circa dai 50 anni in su, la prima domanda posta dai ricercatori si basava proprio sul pensionamento e sulle loro sensazioni a riguardo. La maggior parte delle risposte non ha menzionato l’aspetto economico o la necessità di sentirsi utili, bensì la socialità. Da quanto emerso dalle risposte, la sfida principale in cui si devono imbattere i neopensionati è proprio la sostituzione dei rapporti umani creati a lavoro, che sono spesso perdurati a lungo.
La diminuzione della socialità viene quindi avvertita come un tema particolarmente preoccupante, anche perché secondo lo studio i partecipanti temevano non solo di non riuscire a fare nuove conoscenze significative, ma anche di non riuscire a mantenere i rapporti con gli ex-colleghi. Diversi partecipanti che si sono espressi in questo senso, ad esempio un medico con una carriera di oltre 50 anni e un insegnante di scuola superiore, hanno dato proprio una risposta del genere. Si evince quindi che il tipo di attività lavorativa svolta non è determinante, anche se si può ipotizzare che la nostalgia sarà particolarmente avvertita dalle persone abituate a lavorare a contatto con gli altri, spesso con uno spiccato lato empatico.
Per andare in pensione felicemente gli hobby non bastano
Dedicarsi agli hobby è in genere il primo consiglio che si dà ai pensionati che lamentano la noia e la solitudine. Soltanto nell’età della pensione, infatti, c’è il tempo per dedicarsi completamente ai propri interessi senza avere al contempo preoccupazioni di natura economica. Si tratta di una combinazione che difficilmente si ripete nel corso della vita, perlomeno in modo così evidente, eccezioni a parte.
Eppure, lo studio ultraottantenne di Harvard ha smentito anche questa idea. O meglio, è produttivo e benefico dedicarsi agli hobby ma potrebbe non essere sufficiente. Henry Keane, uno dei partecipanti, ha proprio raccontato di essersi dedicato completamente al volontariato dopo la pensione forzata. Nonostante ciò, ha dichiarato ai ricercatori di patire ancora per la mancanza del contatto con le altre persone.
Ecco perché dallo studio emerge un dato importante che riguarda, invece, le persone in età lavorativa, ossia la tendenza a sacrificare aspetti importanti per l’essere umano, a causa di altre preoccupazioni, per poi subirne le conseguenze in futuro.
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