Nel 2025 ci sarà il ritorno integrale della legge Fornero? Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, non ha alcun dubbio a riguardo.
Sulla riforma delle pensioni continua lo scontro, seppure a distanza dal momento che quest’anno non c’è stato alcun confronto diretto, tra governo Meloni e sindacati.
Nei giorni scorsi, come vi abbiamo già raccontato, il sottosegretario al ministero del Lavoro, Claudio Durigon, ha ribadito l’intenzione del governo Meloni di intervenire con una riforma strutturale che al netto delle conferme dell’Ape Sociale e di Opzione Donna punti all’estensione di Quota 41 per ogni lavoratore.
La stessa fiducia non la riscontriamo però nei sindacati, i quali sulle pensioni temono possa accadere il peggiore scenario possibile, un ritorno integrale della riforma Fornero. Una previsione fatta alla luce delle decisioni prese dal governo Meloni negli ultimi anni, nonché dei vincoli di bilancio di cui il governo dovrà tener conto nella prossima manovra.
A tal proposito, a esporsi pubblicamente contro il governo Meloni rispetto a quanto fatto negli ultimi due anni per le pensioni è stato il segretario generale del sindacato Uil, Pierpaolo Bombardieri. Da una sua intervista pubblicata su Repubblica emerge un vero e proprio “dramma” sulle pensioni, fatto di promesse mancate e di proposte irrealizzabili.
Bombardieri guarda con preoccupazione a quello che può succedere con la prossima legge di Bilancio, anche perché “la riforma è sparita” e non sembrano esserci risorse a disposizione per dei passi in avanti.
Anzi, il rischio è che il governo possa cedere persino alla tentazione di fare cassa sulle pensioni, intervenendo ancora sulla rivalutazione tagliandone gli importi. E il ritorno integrale alla legge Fornero non sembra essere così lontano da come si potrebbe pensare.
Pensioni, ecco cosa ha fatto davvero il presidente del Consiglio
Non le ha mandate a dire al governo Meloni il segretario generale di Uil, Pierpaolo Bombardieri, il quale ritiene che le pensioni siano “l’ennesimo appuntamento mancato con le promesse elettorali”.
Tanto che vengono utilizzate parole forti, come “vergogna” rispetto a quanto ad esempio è stato fatto con Opzione Donna. D’altronde, dalla prima presidente del Consiglio donna ci si aspettava un trattamento differente nei confronti delle lavoratrici. E invece non è stato così, con Meloni che di fatto è stata autrice dello smantellamento di Opzione Donna, oggi riservata a poche migliaia di lavoratrici. Basti pensare che prima dell’avvento di questa maggioranza Opzione Donna richiedeva il compimento dei 58 anni di età per poter smettere di lavorare in anticipo. Oggi, dopo due manovre con cui questa misura è stata utilizzata per fare cassa, si è arrivati a 61 anni. E come se non bastasse Opzione Donna è stata limitata alle lavoratrici invalide, caregiver, licenziate - o in corso di - da grandi aziende.
E non regge neppure la giustificazione data dal sottosegretario del Lavoro, Claudio Durigon, rispetto al fatto che Opzione Donna non piace perché prevede un ricalcolo interamente contributivo, con annessa penalizzazione, dell’assegno. Eppure lo stesso è stato fatto anche con Quota 103, quando tra il 2023 e il 2024 per renderla maggiormente sostenibile è stato necessario prevedere un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno.
Tant’è che Bombardieri ritiene che “il sistema delle quote è ormai finito”, in quanto appunto il pensionamento anticipato è legato a un taglio dell’assegno. Così come tra l’altro varrebbe anche per Quota 41 laddove il governo dovesse riuscire a estendere a tutti l’accesso a questa misura.
Ma il dramma pensioni provocato dal governo Meloni non si conclude qui. Da una maggioranza che fin dall’insediamento alle Camere aveva promesso novità per i giovani ci si aspettava decisioni differenti da quelle prese, ad esempio, per la pensione anticipata contributiva.
Fino allo scorso anno, infatti, a potervi accedere erano i lavoratori che hanno compiuto 64 anni di età e maturato 20 anni di contributi, oltre ad essersi assicurati un assegno almeno pari a 2,8 volte l’Assegno sociale. Adesso, invece, la soglia viene portata a 3 volte (eccetto che per le lavoratrici con figli).
E non solo, perché il governo Meloni ha stabilito che a essere oggetto di adeguamento con le aspettative di vita non sarà solamente il requisito anagrafico, ma anche quello contributivo. In un futuro non molto lontano, quindi, 64 anni di età e 20 anni di contributi potrebbero non essere sufficienti per smettere di lavorare in anticipo.
Così come non bisogna dimenticarsi che il governo Meloni, così come tra l’altro molti dei suoi predecessori, ha tagliato gli importi intervenendo sul meccanismo di rivalutazione. Sono state introdotte percentuali maggiormente penalizzanti, provocando “un danno permanente per le pensioni degli italiani che si abbassano per sempre, anche quelle medie”.
Cattivi presagi per il futuro delle pensioni, ritorno integrale della legge Fornero
E dagli elementi a disposizione non ci sono elementi per pensare a un miglioramento nel 2025, anzi. Come spiegato da Bombardieri non sembra esserci la volontà politica di riformare la previdenza, ma solo esigenze di bilancio.
“Un bel risultato per chi giurava di cancellare la legge Fornero, che ora tornerà in pieno”.
Così il segretario generale di Uil, Pierpaolo Bombardieri, il quale si è dunque unito al coro di chi teme un ritorno integrale alla legge Fornero nel 2025, con l’addio di quelle misure di flessibilità che negli ultimi anni sono servite come strada alternativa per il pensionamento.
Bombardieri è sicuro che alla luce di “un quadro generale preoccupante” verrà chiesto ancora di “fare cassa sulle pensioni”. Un vero e proprio dramma, tanto per i lavoratori che rivedono all’orizzonte quanto era già successo nel 2011 con la legge Fornero quanto per il governo stesso che dovrà lottare per evitare che potenziali decisioni impopolari sulle pensioni possano generare una perdita di consensi.
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