Pensioni in legge di Bilancio 2023: le sfide e gli obiettivi del governo Meloni

Simone Micocci

03/10/2022

La rivalutazione delle pensioni nel 2023 richiederà un esborso elevato in legge di Bilancio: ecco perché per le promesse di Salvini e Berlusconi non sembrano esserci possibilità.

Pensioni in legge di Bilancio 2023: le sfide e gli obiettivi del governo Meloni

Pensioni minime a 1.000 euro, smettere di lavorare con soli 41 anni di contributi, addio alla legge Fornero: nulla di tutto questo sarà in legge di Bilancio 2023 visto che per la prossima manovra il governo Meloni avrà altre priorità, una su tutte come fare i conti con il caro energia.

Anche senza le suddette misure, infatti, le risorse da stanziare in legge di Bilancio per le pensioni sono molto elevate, in quanto il nuovo governo dovrà trovare i soldi per garantire la rivalutazione automatica degli assegni, i quali saranno adeguati tenendo conto del tasso d’inflazione rilevato nell’ultimo anno. Secondo le ultime previsioni il tasso di rivalutazione sarà pari all’8% (poco più o poco meno), molto più alto di quel 2% anticipato dal decreto Aiuti bis (ma solo per i pensionati con reddito inferiore ai 35.000 euro). Un meccanismo che garantirà un aumento a tre cifre per molti pensionati ma che allo Stato richiederà un esborso non indifferente: tra gli 8 e i 10 miliardi già per il 2023, da blindare già con la prossima legge di Bilancio, 25 miliardi di euro per il prossimo triennio.

Già trovare le risorse per procedere senza intoppi alla rivalutazione delle pensioni non sarà semplice, figuriamoci per una riforma delle pensioni che accolga le promesse fatte dagli alleati durante la campagna elettorale, sia per quanto riguarda gli importi che per la data di pensionamento.

Cosa ci sarà allora in legge di Bilancio 2023? Ci sono possibilità di mettere un freno al ritorno integrale della legge Fornero, che Fratelli d’Italia ha comunque dichiarato di voler superare, ma perlopiù con misure dal costo non elevato.

Legge di Bilancio 2023: tra gli 8 e i 10 miliardi per l’aumento delle pensioni

Il governo Meloni dovrà aumentare le pensioni. Non si tratta di un punto del programma di centrodestra, quanto di un passaggio obbligato in quanto previsto dalla legge.

Come da normativa, infatti, le pensioni ogni anno vengono adeguate all’andamento dell’inflazione, così da mantenerne inalterato il potere d’acquisto. Un meccanismo che negli anni non ha causato particolari problemi ai governi, visto che il tasso di rivalutazione è sempre stato limitato. Basti pensare che al 1° gennaio 2022 l’aumento è stato pari all’1,7% (poi accertato all’1,9%).

E quando il governo ne ha voluto limitare i costi è stato previsto un meccanismo di rivalutazione parziale, riducendo la percentuale per le fasce più elevate.

Tuttavia, con un tasso d’inflazione all’8% il discorso cambia, perché con una tale percentuale sarà necessario uno stanziamento di risorse di circa 25 miliardi per il prossimo triennio.

Basti pensare che chi ha una pensione di 1.000 euro al mese riceverà un aumento di 80 euro al mese, 160 euro in più per chi ha un assegno da 2.000 euro.

Ricordiamo che secondo il meccanismo di rivalutazione attuale a godere dell’aumento al 100% del tasso sono solamente coloro che hanno una pensione d’importo inferiore alle 4 volte il trattamento minimo, poco meno di 2.100 euro.

Sopra questa soglia, invece, la rivalutazione è pari al:

  • 90% del tasso entro le 5 volte il trattamento minimo (2.577,90 euro);
  • 75% sopra le 5 volte il trattamento minimo.

Trovare le risorse, quindi, non sarà semplice e ciò limita lo spazio di manovra del governo Meloni.

Legge di Bilancio 2023: no all’aumento fino a 1.000 euro e a Quota 41 per tutti

Non ci saranno altri aumenti delle pensioni diversi dalla rivalutazione: ci riferiamo ad esempio alla promessa di Forza Italia di portare a 1.000 euro il valore dell’incremento al milione, misura che oggi richiederebbe un esborso insostenibile per le casse dello Stato.

E ancora, no a Quota 41 per tutti, misura che Matteo Salvini vorrebbe per superare la legge Fornero consentendo a ogni lavoratore di andare in pensione con soli 41 anni di contributi, senza guardare all’età anagrafica. Anche questa misura ha un costo che per il momento non sembra essere sostenibile: almeno 5 miliardi l’anno, con picchi anche di 9 miliardi secondo le stime della Ragioneria di Stato.

Pensioni: ritorno alla legge Fornero nel 2023?

Ciò non significa che in legge di Bilancio 2023 non ci saranno misure per le pensioni, anche perché il governo Meloni farà sicuramente in modo di evitare malumori nella maggioranza. D’altronde, Salvini aveva promesso “barricate” al governo Draghi qualora nel 2023 non fossero state introdotte misure per evitare il ritorno della legge Fornero.

Allorché, oggi ci sono tre misure che rendono flessibile il sistema pensionistico italiano:

Le prime due misure sono in scadenza il 31 dicembre prossimo, mentre Opzione donna oggi è limitata a coloro che ne hanno maturato i requisiti (58 anni di età e 35 anni di contributi) entro il 31 dicembre 2021.

Ecco quindi che il prossimo governo potrebbe intervenire sulle scadenze immediate, prorogando l’Ape Sociale - e probabilmente estendendo la platea dei fragili che possono accedere all’anticipo pensionistico all’età di 63 anni - e Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi), ma introducendo un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno per chi vi accede.

Novità attese anche per Opzione donna che potrebbe essere estesa a coloro che ne maturano i requisiti entro il 31 dicembre prossimo, ipotesi a cui tra l’altro si era detto favorevole l’attuale ministro del Lavoro Andrea Orlando prima della crisi che ha portato alla caduta del governo Draghi.

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