Nuove regole per l’accesso alla pensione. Dalla Cassazione arrivano due importanti cambiamenti per chi ha lavorato meno di 35 anni e per i disoccupati.
Nel 2025 potrebbero arrivare due importanti novità per le pensioni, una che avvantaggerà coloro che hanno lavorato per meno di 35 anni ma hanno maturato diversi contributi figurativi e l’altra che invece va a favore dei disoccupati che tuttavia non sono riusciti ad accedere all’indennità di disoccupazione conosciuta come Naspi.
Due cambiamenti che tuttavia non arrivano dalla legge di Bilancio 2025, dove ci si limita a poche novità (come ad esempio allo sconto di ulteriori 4 mesi per le donne con almeno 4 figli) che non incidono significativamente sulle regole per andare in pensione.
A essere causa di possibili cambiamenti è la Corte di Cassazione che di recente, con due sentenze che interessano la pensione anticipata e l’Ape sociale, potrebbe obbligare l’Inps a rivedere presto le regole di accesso a queste due misure, al fine di evitare una serie di contenziosi che rischierebbe concretamente di perdere.
Le due sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione, infatti, saranno un punto di riferimento per la giurisprudenza, che darebbe così ragione a tutti quei lavoratori che ricorreranno alla giustizia per far valere i propri diritti.
Ma cosa cambia davvero? Ecco quali sono le due categorie a cui fanno riferimento queste ottime notizie sul fronte pensioni e come la Corte di Cassazione potrebbe aver cambiato le regole di accesso ad Ape Sociale e pensione anticipata.
Pensione anticipata, buone notizie per chi ha lavorato meno di 35 anni
Oggi per smettere di lavorare indipendentemente dall’età anagrafica non è sufficiente aver maturato almeno 42 anni e 10 mesi di contributi, un anno in meno per le donne. La regola vuole anche che almeno 35 di questi devono risultare da contribuzione effettiva, ossia:
- contribuzione obbligatoria versata negli anni di lavoro;
- contribuzione volontaria;
- contribuzione da riscatto (ad esempio degli anni di studio universitario).
Non rientrano nella contribuzione effettiva invece i contributi figurativi, tra cui ad esempio figurano quelli versati dall’Inps nei periodi di disoccupazione (in cui si beneficia di una delle indennità previste, come ad esempio della Naspi), come pure durante la malattia. Più nel dettaglio, i periodi in cui viene riconosciuta la contribuzione figurativa - in alcuni casi in automatico, in altri su domanda dell’interessato - sono diversi:
- aspettativa per mandato elettorale e sindacale
- assistenza sanitaria per tubercolosi
- assistenza a persone con handicap grave
- attività svolta in progetti di lavoro socialmente utili (LSU)
- attività svolta da lavoratori invalidi
- calamità naturale
- cassa integrazione guadagni
- chiusura dell’attività per i commercianti
- congedi di maternità e parentali
- contratti di solidarietà
- disoccupazione
- donazione del sangue
- infortunio
- malattia
- mobilità
- persecuzione politica e razziale
- servizio militare.
Chi quindi ha lavorato per meno di 35 anni ma grazie al riconoscimento della contribuzione figurativa per uno o più dei suddetti periodi riesce a raggiungere il requisito contributivo per accedere alla pensione anticipata non può comunque ricorrere a questa opzione per smettere di lavorare.
O almeno questa è l’interpretazione data dall’Inps, sulla quale però non concordano i giudici della Corte di Cassazione. Con la sentenza n. 24916 del 2024, infatti, i giudici hanno spiegato che dal momento che gli anni richiesti dalla legge Fornero per il pensionamento anticipato sono comunque molti, tutti i contributi figurativi devono essere considerati ai fini del raggiungimento del requisito.
Una sentenza che quindi potrebbe obbligare l’Inps a rivedere la propria interpretazione sulla pensione anticipata, anche perché la sentenza della Corte di Cassazione potrebbe aprire la strada a una serie di ricorsi.
Buone notizie per chi è disoccupato
Come anticipato, l’Ape Sociale è un’altra misura che consente di smettere di lavorare in anticipo anche a coloro che hanno lavorato per meno di 35 anni. Sono sufficienti infatti 30 anni di contributi, e un’età di almeno 63 anni e 5 mesi.
Tra le tante categorie che possono accedere all’Ape Sociale, figurano anche i disoccupati che hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante. Quindi, chi perde il lavoro (nei casi di contratto a tempo determinato è necessario aver lavorato per almeno 18 mesi negli ultimi 3 anni) e ha accesso alla Naspi può, una volta cessata e trascorsi almeno 3 mesi, fare domanda per l’anticipo pensionistico.
E chi invece per qualche motivo non ha percepito alcuna indennità ma è comunque disoccupato? Secondo l’Inps no dal momento che aver avuto accesso alla Naspi è un requisito fondamentale ai fini dell’accesso all’Ape Sociale. Non è così per la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 24950 del 17 settembre 2024 ha esteso il diritto all’Ape Sociale anche a chi non ha preso la Naspi. Anche in questo caso vale quanto detto sopra: ferma restando la possibilità di fare ricorso, bisognerà comunque attendere che l’Inps si adegui a questa nuova interpretazione normativa (e non è detto lo faccia).
E attenzione, perché questa sentenza potrebbe avere dei risvolti anche per un’altra misura che richiede la cessazione della Naspi da almeno 3 mesi per poter accedere all’agevolazione che consente di smettere di lavorare in anticipo. Si tratta di Quota 41, opzione riservata ai lavoratori precoci - almeno 12 mesi di contributi versati entro il compimento dei 19 anni - che fanno parte di una delle categorie che necessitano di una maggior tutela, tra cui insieme a invalidi, caregiver e lavoratori gravosi, figurano anche i disoccupati, ma appunto a condizione che abbiano cessato l’indennità di disoccupazione da almeno 3 mesi. Il principio è lo stesso quindi, ecco perché la suddetta sentenza potrebbe avere conseguenze anche su Quota 41, fermo restando che l’Inps non ha ancora commentato ufficialmente quanto successo.
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