Pensioni, pessime notizie. Fornero aveva ragione

Simone Micocci

18/07/2024

Non è possibile una riforma delle pensioni vista la situazione demografica del Paese. Le parole del ministro dell’Economia rivalutano il ruolo di Elsa Fornero nella storia.

Pensioni, pessime notizie. Fornero aveva ragione

Ancora oggi Elsa Fornero, ex ministra per il Lavoro nel governo Monti, viene attaccata per quanto fatto nel 2011, essendo vista come l’autrice della “riforma delle pensioni di lacrime e sangue”.

Tant’è che in campagna elettorale c’è chi acquisisce consensi sfruttando il suo nome, promettendo riforme delle pensioni che almeno delle intenzioni dovrebbero servire a superare la riforma del 2011, consentendo di andare in pensione prima rispetto ai 67 anni richiesti dalla pensione di vecchiaia e ai 42 anni e 10 mesi di contributi della pensione anticipata.

Fornero viene indicata, dopo ben 13 anni da quella riforma, come il nemico da battere: dal punto di vista politico probabilmente si sta anche rivelando una scelta corretta, basti vedere i risultati elettorali, ma a un caro prezzo.

Intanto per Elsa Fornero che come raccontato da lei stessa ha necessità persino della scorta quando partecipa ai convegni. Ancora oggi viene vista come capro espiatorio per il fatto che bisogna lavorare fino ai 67 anni prima di poter andare in pensione, per quanto abbia fatto solo ciò che era necessario.

Il posto nella storia che l’opinione pubblica ha consegnato a Elsa Fornero non è quello giusto. Ma d’altronde, seppur non espressamente, dalla politica arrivano le prime ammissioni riguardo al fatto che la riforma del 2011 non poteva essere evitata e che soprattutto, allo stato attuale, non può essere cancellata.

Il ministro dell’Economia dà ragione a Fornero (ma non espressamente)

In questi giorni il ministro dell’Economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, ha risposto a un’interrogazione sulla compatibilità finanziaria della riforma del sistema pensionistico durante un question time alla Camera dei Deputati, dove si è soffermato sulla possibilità di rinnovo per le misure di pensionamento anticipato attualmente vigenti, quali Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna, in scadenza a fine anno.

Giorgetti ha colto l’occasione per ribadire un concetto che aveva già espresso qualche mese fa, molto importante da comprendere così da poter analizzare in maniera corretta tutte le varie anticipazioni che emergono su una possibile riforma delle pensioni.

Nel dettaglio, il ministro dell’Economia ha spiegato che “nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale”, per poi aggiungere che da parte sua “non c’è alcuna forma di rinnegamento alla giusta aspettativa di pensione anticipata”.

Parole chiare, che vanno in conflitto con altri esponenti del suo partito che invece non hanno perso l’occasione per attaccare chi ha posto in sicurezza il sistema pensionistico senza ottenere il riconoscimento che merita.

Ma d’altronde Giorgetti non si nasconde e aggiunge:

In campagna elettorale si parla spesso di pensioni, ma è il caso di parlare anche del trend demografico del Paese.

Il problema è chiaro e non riguarda solo l’Italia: il calo delle nascite che ha seguito al baby boom del secondo dopoguerra farà sì che in futuro ci saranno sempre più pensionati e meno lavoratori. Il costo per le pensioni, quindi, aumenterà, mentre le entrate contributive saranno sempre meno.

Ecco perché i prossimi “interventi sulle pensioni dovranno essere valutati in un contesto di sostenibilità complessiva della finanza pubblica”, parole che per quanto possano deludere coloro che ancora sperano in una riforma che possa cancellare la legge Fornero descrivono perfettamente la realtà dei fatti.

Quel che Giorgetti dovrebbe aggiungere è che se oggi ci troviamo nella situazione di poter ragionare su delle opzioni di flessibilità come Quota 103 o Quota 41 è solo grazie a quanto fatto nel 2011. Una riforma che ha garantito un risparmio di oltre 80 miliardi di euro - come spiegato dalla Ragioneria di Stato - e che grazie al passaggio integrale al sistema contributivo ha fatto sì che potessero esserci misure per il pensionamento anticipato che sfruttano questo metodo per consentire alle persone di smettere di lavorare in anticipo facendosi però carico del costo che ne deriva (attraverso una penalizzazione in uscita, vedi ad esempio quanto successo con Quota 103).

A Elsa Fornero va data ragione

Lo spread era a 575, lo Stato rischiava di non riuscire a pagare le pensioni.

Serviva una riforma delle pensioni e un intervento forte di spending review. Ma in quel lontano 2011 nessuna componente politica aveva il coraggio di prendere decisioni necessarie ma impopolari con il rischio di macchiare per sempre il proprio Curriculum Vitae.

Ed ecco il governo tecnico, con Elsa Fornero che venne scelta come vittima sacrificale.

Nel poco tempo a disposizione, circa 20 giorni, vennero prese le migliori decisioni possibili, seppure la stessa professoressa non abbia mai negato che qualche errore è stato commesso.

Tornassi indietro guarderei i numeri con maggiore attenzione, ma va detto che i dati non c’erano visto che lo stesso ministero del Lavoro non aveva un registro di tutti gli accordi di prepensionamenti.

Così in un’intervista rilasciata a Money.it qualche anno fa.

Ma d’altronde, come spesso succede con le riforme, alcuni errori emergono solamente in fase di attuazione, con il governo che quindi interviene in corso d’opera per arrivare al miglior risultato possibile.

Nonostante ciò, come anticipato, quella riforma ha garantito un risparmio di 80 miliardi di euro, con la messa in sicurezza del sistema pensionistico che, va detto, fino a quegli anni era troppo favorevole (pensiamo a tutte quelle persone che sono andate in pensione ben prima dei 60 anni).

Oltre 13 anni dopo dovrebbe essere arrivato il momento per riconoscere quanto di buono fatto da Elsa Fornero con quella riforma, provando a ottenere consensi elettorali con la chiarezza dei contenuti anziché giocando sulle tendenze dell’opinione pubblica.

Ma probabilmente stiamo chiedendo troppo.

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