Pensioni: sono diverse le decisioni che il governo Meloni è chiamato a prendere nelle prossime settimane. Il tempo stringe, e anche le risorse.
Nelle prossime settimane si parlerà molto di pensioni, se non altro per la moltitudine di decisioni che il prossimo governo dovrà prendere a riguardo.
Il governo Draghi, infatti, lascia al nuovo Esecutivo una serie d’importanti dossier: dalla rivalutazione delle pensioni che necessità di circa 4 miliardi di euro, alla scadenza di alcune delle misure più importanti tra quelle alternative alla legge Fornero, dall’Ape sociale a quota 102. Senza dimenticare la promessa che era stata fatta ai sindacati (e agli italiani) dal precedente governo: una riforma delle pensioni tale da garantire una maggiore flessibilità in uscita.
Il problema è che i tempi per lavorare (e approvare) la legge di Bilancio 2023 sono molto stretti, come pure le risorse a disposizione, ragion per cui quella sul fronte pensioni sembra essere una delle sfide più complicate che il governo Meloni dovrà affrontare nei prossimi mesi.
Pensioni: quali sono le decisioni che il prossimo Governo è chiamato a prendere
Trovare una quadra sulle pensioni non sarà semplice, anche perché non mancano le pressioni da parte degli alleati che in campagna elettorale hanno fatto diverse promesse sul tema pensioni. Se per l’aumento a 1.000 euro delle pensioni minime richiesto da Silvio Berlusconi non sembrano esserci speranze per l’immediato, anche perché i rapporti tra le parti non sono idilliaci, maggiori possibilità ci sono per quota 41 per tutti richiesta da Matteo Salvini.
Ma vediamo nel dettaglio quali sono le decisioni che il prossimo governo dovrà prendere sul fronte pensioni.
1) Rivalutazione e taglio delle pensioni d’oro
A gennaio 2023 è attesa una rivalutazione delle pensioni senza precedenti, visto che il tasso d’inflazione potrebbe attestarsi tra l’8 e il 9% comportando così un aumento a tre cifre per gli assegni previdenziali.
Ogni anno, infatti, gli importi delle pensioni vengono adeguati all’indice dei prezzi rilevato nei 12 mesi precedenti, così da fare in modo che l’assegno non perda potere d’acquisto in caso di inflazione.
Quest’anno tale meccanismo comporterà aumenti rilevanti che costeranno allo Stato dai 4 ai 5 miliardi di euro, risorse che dovranno essere impegnate già con la prossima legge di Bilancio.
Una parte potrebbe essere recuperata grazie al ricalcolo delle pensioni d’oro, tema particolarmente caro a Giorgia Meloni che già nelle ultime legislature ha presentato una proposta di legge per il taglio degli assegni superiori a 5 mila euro lordi al mese.
Per chi supera tale importo, infatti, dovrebbe esserci il ricalcolo dell’assegno utilizzando interamente il sistema contributivo, così da tener conto solamente dei contributi versati nel corso della carriera. Un progetto che troviamo anche nel programma con cui Fratelli d’Italia si è presentato alle ultime elezioni, dimostrazione che Giorgia Meloni è risoluta a riguardo.
2) Maggiore flessibilità per i fragili
Per i lavoratori fragili c’è già una strada alternativa alla Fornero: si tratta dell’Ape sociale, misura con cui si può smettere di lavorare all’età di 63 anni (e 30 anni di contributi, 36 nel caso degli usuranti) percependo nel contempo un’indennità sostitutiva - per 13 mensilità - a carico dello Stato.
Il problema è che l’Ape sociale è in scadenza il 31 dicembre 2022 e servirà una proroga in legge di Bilancio 2023 per confermarla almeno per altri 12 mesi. Secondo le ultime indiscrezioni la conferma dell’Ape sociale non è in discussione, anzi c’è chi ritiene potrebbe esserci un ampliamento della platea dei beneficiari.
5) Quota 41 per tutti
Negli ultimi giorni si era fatta strada la possibilità di estendere anche agli uomini la possibilità di andare in pensione con 58 anni di età e 35 di contributi, accettando però un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno (e di conseguenza una penalizzazione che a seconda dei casi può arrivare al 30%).
Tuttavia, sembra che - come spiegato dai sindacati - si preferisca ragionare su una quota 41 per tutti con soglia di età. In questo modo, infatti, non ci sarebbero penalizzazioni per coloro che, con 41 anni di contributi e almeno 61 o 62 anni di età, decidano di anticipare l’accesso alla pensione.
Una misura che se approvata potrebbe prendere il posto di quota 102, in scadenza il 31 dicembre prossimo ma che difficilmente verrà prorogata, se non altro perché in questi ultimi 12 mesi si è dimostrata piuttosto inutile.
4) Misure in favore delle donne
E ancora, bisognerà pensare a come tutelare maggiormente la posizione delle donne. Intanto servirà decidere cosa fare di Opzione donna, oggi limitata a coloro che ne hanno raggiunto i requisiti, 58 anni di età e 35 anni di contributi, entro la data del 31 dicembre 2021. Spetterà al prossimo governo valutare se estendere ancora la platea delle beneficiarie, ad esempio includendo anche le nate nel 1964.
Ma le misure in favore delle donne potrebbero non fermarsi alla suddetta Opzione. Ad esempio, semmai si riuscisse davvero a introdurre quota 41 per tutti, si potrebbe nel frattempo affiancarla con un bonus contributi, che tanto piace alla Lega, in favore delle lavoratrici madri, riconoscendo loro uno “sconto” di un anno per ogni figlio. Ad esempio, per chi ha due figli sarebbero sufficienti 39 anni di contributi per andare in pensione, ferma restando l’età minima che dovrebbe essere fissata tra i 61 e i 62 anni.
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