Puoi smettere di lavorare a 61 anni incastrando una serie di misure. Ecco quali e i requisiti da soddisfare.
Essere ben informati sulle regole per l’accesso alla pensione è fondamentale per individuare percorsi alternativi che consentano di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro. Le regole generali per smettere di lavorare nel 2025 prevedono infatti che per smettere di lavorare si debbano avere almeno 67 anni di età (pensione di vecchiaia) o, in alternativa, 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età (pensione anticipata).
Tuttavia, esistono soluzioni che permettono di lasciare il lavoro prima. Una di queste consente di farlo già a 61 anni, sfruttando una combinazione di strumenti attualmente disponibili.
Uno dei metodi più efficaci per anticipare l’uscita dal lavoro, descritto di seguito, è particolarmente vantaggioso per quei dipendenti che, in accordo con l’azienda, cercano una soluzione per smettere di lavorare in anticipo. Anche per l’azienda, infatti, questa operazione può rappresentare un’opportunità, favorendo il ricambio generazionale. Si tratta di un vero e proprio trucco, in quanto mette insieme una combinazione di misure che ben incastrate tra loro permettono di uscire anticipatamente dal mercato del lavoro continuando a beneficiare di un sostegno economico.
La strategia si basa su una serie di passaggi ben definiti. Il primo step è l’accesso alla Naspi (l’indennità di disoccupazione), seguita dal raggiungimento dei requisiti per l’Ape Sociale. Per quanto tuttavia è importante sottolineare che questa soluzione comporta alcuni sacrifici economici: sia durante il periodo di disoccupazione che durante l’anticipo pensionistico, l’assegno percepito sarà inferiore rispetto all’ultimo stipendio. Inoltre, la pensione finale potrebbe risultare ridotta, poiché l’uscita anticipata implica un minor numero di anni lavorati e, di conseguenza, una contribuzione inferiore.
Licenziamento
Come prima cosa bisogna parlarne all’azienda in quanto per attuare questo piano è necessario che ci sia il licenziamento. Non è possibile dimettersi, in quanto l’accesso all’indennità di disoccupazione è vincolato alla perdita involontaria del lavoro.
Ma d’altronde il datore di lavoro potrebbe essere interessato a favorire il ricambio generazionale in azienda, liberandosi dei profili più anziani (come il vostro appunto) per assumere personale più giovane.
A tal proposito, consigliamo di iniziare a muovervi una volta compiuti i 61 anni ma conviene, per massimizzare i vantaggi di una tale operazione, che il licenziamento venga finalizzato al compimento dei 61 anni e 2 mesi. Accertatevi però di aver maturato almeno 28 anni di contributi.
Indennità di disoccupazione
Una volta sottoscritto il licenziamento potete fare domanda di indennità di disoccupazione Naspi che spetta per una durata pari alla metà delle settimane contributive maturate negli ultimi 4 anni.
Nella migliore delle ipotesi, quindi per chi ha avuto una carriera lunga, la Naspi spetta per un periodo di 2 anni.
In questo periodo, coperto da contribuzione figurativa, spetta un’indennità così calcolata:
- 75% della retribuzione media per i primi 1.425,21 euro;
- 25% per la parte restante fino a un massimo di 1.550,42 euro.
Prendiamo come esempio un lavoratore che al momento della cessazione del lavoro guadagnava 2.500 euro lordi. Di indennità percepisce 1.336 euro per i primi 7 mesi: dopodiché per ogni mensilità scatta una decurtazione mensile del 3%, fino a scadenza naturale del beneficio.
Ciò significa che più si va avanti nel tempo e più l’importo percepito si riduce, tanto da scendere sotto i 1.000 euro in prossimità della scadenza (arrivando fino a 845 euro nell’ultima mensilità).
Cosa fare dopo la scadenza della disoccupazione
Al compimento dei 63 anni e 2 mesi, quindi, la Naspi scade. A questo punto bisognerà attendere 3 mesi, per poi fare domanda per l’Anticipo pensionistico conosciuto come Ape Sociale.
Per accedere a questo strumento bisogna aver compiuto 63 anni e 5 mesi, 30 anni di contributi ed essere disoccupati, per perdita involontaria del lavoro, e aver cessato da almeno 3 mesi della relativa indennità di disoccupazione.
Come funziona l’Ape sociale
Una volta accolta la richiesta di Ape Sociale viene riconosciuta un’indennità sostitutiva della pensione pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento della richiesta dell’indennità, fino a un massimo di 1.500 euro.
Quindi, mettiamo il caso che la pensione calcolata al momento della richiesta dell’Ape Sociale risulti pari a 1.700 euro: ne spetterà comunque un massimo di 1.500 euro, tra l’altro solo per 12 mensilità (non spetta, quindi la tredicesima).
La buona notizia è che l’Ape Sociale spetta fino a quando non vengono raggiunti i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, senza alcuna riduzione. Se ne potrà fare affidamento, quindi, fino al compimento dei 67 anni di età.
La pensione
Una volta raggiunti i 67 anni, quindi, si percepisce la vera e propria pensione. Ci sarà quindi un ricalcolo dell’importo, considerando un coefficiente di trasformazione (per la parte calcolata con il contributivo) maggiore rispetto a quello utilizzato per calcolare l’indennità spettante con l’Ape Sociale. Ricordiamo, infatti, che il coefficiente viene individuato tenendo conto dell’età in cui si va in pensione.
Come anticipato, però, bisogna rassegnarsi all’idea che la pensione sarà più bassa rispetto a quella che sarebbe spettata nel caso in cui l’attività lavorativa fosse proseguita fino al momento della pensione. Anche perché è bene ricordare che, a differenza del periodo indennizzato da Naspi, quando si percepisce l’Ape sociale non è prevista alcuna contribuzione figurativa.
Di conseguenza ci sono meno contributi versati: ne risentirà l’importo che risulterà dal calcolo della pensione.
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