Quali diritti hanno colf e badanti conviventi dopo la morte dell’assistito secondo la legge: quando e quanto possono restare in casa.
Molto spesso colf e badanti convivono con la persona che necessita della loro assistenza, una soluzione pratica per entrambe le parti che può però rivelarsi problematica alla morte dell’assistito. I lavoratori domestici conviventi che devono fare i conti con questo lutto temono di perdere la possibilità di vivere in casa da un momento all’altro. Circostanza sempre spiacevole, soprattutto se a causa di un evento così improvviso e doloroso.
Se a ciò si aggiungono situazioni particolari (purtroppo non così rare) in cui colf e badanti non hanno familiari che li possano aiutare per una sistemazione temporanea, è facile comprendere la disperazione. Dall’altra parte ci sono i familiari del defunto e coloro che eventualmente vivono nell’abitazione, che in un momento tanto delicato vorrebbero un po’ di riservatezza, anche se molto spesso i collaboratori domestici diventano parte della famiglia, soprattutto se conviventi.
Interrompendosi il lavoro, non c’è più alcun ricambio per l’utilizzo dell’alloggio, quindi da questo punto di vista anche la posizione degli eredi è del tutto comprensibile. La cosa migliore sarebbe senza dubbio quella di mettersi d’accordo, concedendo il tempo necessario a trovare una sistemazione alternativa e magari concordando una scadenza consona. Non sempre questo è possibile, però, perché possono esserci ostilità tra le parti o tra i vari eredi e non necessariamente tutti agiscono in buona fede.
Per fugare ogni dubbio è quindi utile conoscere cosa prevede la legge riguardo al tempo per cui colf e badanti possono continuare a stare in casa anche dopo la morte della persona assistita.
Quanto tempo badanti e colf possono restare a casa dopo la morte dell’assistito
Si fa riferimento a ipotesi in cui l’assistito era uno solo e il collaboratore non aveva anche altre mansioni, perché altrimenti si dovrebbe procedere con una variazione del rapporto di lavoro domestico per escludere la convivenza (e comunque ristabilire orari e mansioni).
In questo caso il collaboratore può accettare le modifiche che gli vengono comunicate o rifiutarle. Se si rende necessario procedere con il licenziamento, valgono le regole ordinarie sul preavviso, fondamentali per capire quanto si prolunga il diritto ad abitare nella casa.
Oltre a questa precisazione, bisogna distinguere l’ipotesi in cui la convivenza non era stabilita dal contratto di lavoro, bensì si trattava di una concessione dell’assistito stesso come forma di favore o aiuto in un momento difficile. In questo caso, il collaboratore perde il diritto a vivere nell’immobile, a meno che il defunto avesse predisposto una regolamentazione, per esempio con l’usufrutto.
Escluse le dovute eccezioni, colf e badanti hanno diritto a rimanere in casa dopo la morte dell’assistito per il periodo corrispondente al preavviso. Si tratta di:
- 15 giorni per i contratti di lavoro superiori a 25 ore settimanali e con anzianità di servizio entro i 5 anni;
- 30 giorni per i contratti di lavoro superiori a 25 ore settimanali con un’anzianità superiore a 5 anni;
- 8 giorni per i contratti di lavoro inferiori a 25 ore settimanali con un’anzianità entro i 2 anni;
- 15 giorni per i contratti di lavoro inferiori a 25 ore settimanali con un’anzianità superiore ai 2 anni.
L’anzianità di servizio è da intendersi sempre con lo stesso datore di lavoro. Si ricorda che i termini di preavviso cambiano per portieri e custodi e non sono comunque tenuti in caso di licenziamento per giusta causa, ammesso che ve ne siano le condizioni. Il datore di lavoro può inoltre sostituire il preavviso con il pagamento dell’indennità sostitutiva.
Naturalmente, se l’assistito coincideva con il datore di lavoro il licenziamento dovrà essere compito degli eredi del defunto. Altrimenti dovrà occuparsene il datore di lavoro diverso dall’assistito. Il licenziamento deve essere comunicato secondo legge, quindi con raccomandata a/r o pec, che faranno fede con la propria data di notifica.
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