È uno strumento che ha durata breve, basso rischio e non è soggetto a fluttuazioni di prezzo di mercato. Non come gli investimenti sempre più complessi che confondono il cliente e nascondono i costi.
Sarebbe possibile, per le banche e gli intermediari creditizi in genere, offrire prodotti “semplici” tali da tutelare il risparmiatore nel momento in cui i rendimenti reali (al netto dell’inflazione) degli investimenti in titoli di Stato e obbligazioni sono bassi e i mercati azionari, tra rally al rialzo e giornate di forti ribassi, sembrano muoversi senza criterio? La domanda (retorica) nasce da una considerazione sul solito processo commerciale tuttora applicato sistematicamente dal nostro sistema bancario e che si basa sull’assioma: «O sottoscrive i nostri prodotti oppure i suoi soldi non ci interessano!».
Quali sono questi prodotti? Per esempio le obbligazioni che, la storia dell’ultimo decennio ce lo insegna, le banche sono libere di non rimborsare se si trovano in difficoltà oppure i fondi comuni di investimento, proposti dai consulenti bancari in maniera ossessiva, in cui l’unica certezza è il guadagno del collocatore e non sempre è dato sapere dove i nostri soldi vengono investiti. O ancora le polizze assicurative che non sempre garantiscono il capitale versato, spesso decurtato da copiose commissioni iniziali, per cui possono occorrere diversi anni prima di recuperarlo.
Una delle ragioni di questo comportamento è che la situazione degli NPL (crediti di difficile recupero) ha ridotto il loro margine di guadagno, dato dalla differenza tra quelli applicati sui depositi e quelli sui finanziamenti. La tendenza infatti è quella di proporre investimenti sempre più complessi, dove il meccanismo di remunerazione è legato a scommesse sull’andamento di indici, valute e panieri di titoli con l’obiettivo di confondere il più possibile il cliente e nascondere i costi.
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