Il blocco delle merci in Ucraina aumenta la crisi alimentare, non tanto in Europa, quanto nei Paesi più poveri. La fama porta all’instabilità, con conseguenze anche per il resto del mondo.
Possiamo anche voltare la testa dall’altra parte e fare finta che il conflitto in Ucraina non abbia effetti concreti sull’Italia o l’Europa, ma sarebbe mentire di fronte alla realtà dei fatti. Il blocco delle merci in Ucraina, ferme nei silos o nelle navi da trasporto, è un problema di tutti e con lo scorrere del tempo non può che peggiorare.
Per l’Europa si aggira lo spettro della crisi alimentare, una crisi che è sotto diversi punti di vista analizzata e affrontata. Come ha fatto notare WWF, la produzione alimentare globale “è sufficiente per sfamare la popolazione mondiale”. La crisi dipende da molti altri fattori, tra cui l’aumento della popolazione, il cambiamento climatico, le politiche commerciali, le pandemie, la speculazione finanziaria e, ovviamente, i conflitti. Insomma, la parte del mondo fortunata, quella ricca, non vivrà una vera e propria crisi alimentare, anche se i prezzi iniziano a pesare sulle tasche dei compratori.
Il maggior impatto del blocco delle merci in Ucraina lo subiranno i Paesi la cui dieta è strettamente dipendente dal pane. Lo ha ricordato anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “L’instabilità alimentare sta provocando instabilità politica”. È questa che causerà maggiori problemi all’Europa. La Russia inoltre si è affibbiata il ruolo di mediatrice sull’esportazione di grano, dicendosi pronta al dialogo in caso di revoca delle sanzioni. Non a caso la Russia è stata accusata di aver rubato e trattenere nei porti parte del grano ucraino.
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Blocco delle merci in Ucraina: l’effetto farfalla che ci mette tutti nei guai
La guerra in Ucraina ha messo in prospettiva diversi problemi e temi interni nei singoli Paese, ma se c’è qualcosa che non può passare per meno importante dell’equilibrio internazionale è la fame. Il bisogno alimentare muove l’intero sistema mondiale e basta un rincaro in piccole percentuali per far crollare milioni di essere umani nella condizione di fame e povertà assoluta. In fisica si chiama “effetto farfalla”, nell’attualità lo possiamo chiamare “blocco delle merci”.
In questi giorni alcune navi commerciali stanno salpando per portare in altri porti il grano ucraino, ma questo non basta per equilibrare la condizione di stallo. Nei silos sono stoccate ancora milioni di tonnellate, tanto che le 19,4 milioni di tonnellate in arrivo nelle prossime settimane (circa il 40% in meno rispetto alla produzione ucraina dello scorso anno) rischiano di non avere spazio per essere immagazzinate.
Basta una piccola variazione nelle esportazioni o nei costi perché qualche Paese, che fa dipendere la propria dieta da pane e altra produzione del grano, rischia di ritrovarsi in crisi. È quello che sta accadendo a diversi Paesi africani e del Medio Oriente, come ha affermato Luigi Di Maio alla seconda “Festa dell’educazione alimentare” della Coldiretti.
Aumenta la fame nel mondo: i Paesi in via di sviluppo sono in crisi
La pandemia di coronavirus aveva già indebolito i Paesi più poveri, quelli dove in genere la dieta giornaliera dipendente fortemente dalle merci esportate proprio da Russia e Ucraina coinvolte nel conflitto e nelle sanzioni. A portare un esempio è Simone Garroni, direttore dell’Organizzazione umanitaria Azione contro la fame che, intervistato da Vaticano News, ha spiegato come questo è un periodo piuttosto difficile. “Siamo nel periodo dell’anno in cui si esauriscono le vecchie scorte e ancora non sono a disposizione quelle del nuovo raccolto - ha raccontato - a scontare gravi conseguenze sono le popolazioni più povere”.
Garroni porta l’esempio della Repubblica Democratica del Congo e del Madagascar dove l’insicurezza alimentare ha aumentato il numero di persone in condizione di rischio. Le percentuali della crisi sono state analizzate anche dal Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che ha evidenziato come il numero di persone a rischio “fame” è salito di 40 milioni di unità, per un totale di 240 milioni, negli ultimi 12 mesi. Le stime nuove invece tengono conto degli ultimi mesi di conflitto, che da soli valgono 18 milioni di persone in più a rischio.
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