Perché la guerra a Gaza dovrebbe interessare tutti

Giorgia Bonamoneta

22 Ottobre 2023 - 23:08

La guerra che coinvolge Israele e la Striscia di Gaza coinvolge meno il pubblico occidentale? Ecco perché dovrebbe interessarci.

Perché la guerra a Gaza dovrebbe interessare tutti

La guerra israeliana contro Hamas, una guerra contro Gaza e ciò che rimane della Palestina e dei palestinesi, sembra avere una risonanza minore rispetto alla guerra russa-ucraina. È impossibile escludere da questa lettura della realtà fenomeni quali la normalizzazione dell’occupazione militare israeliana della Striscia di Gaza - e le relative violenze applicate ai cittadini palestinesi, anche in Cisgiordania - e l’islamofobia che è stata ampiamente venduta all’Occidente per la creazione di un nemico comune contro il quale unirsi. Si tratta di un passaggio non secondario e che negli ultimi due decenni in particolare ha permesso alle violenze di Hamas di avere un eco più grande rispetto alle violenze israeliane ai danni dei palestinesi.

Il doppio standard applicato nel contesto specifico può essere allargato per comprendere come questa guerra sia meno interessante per l’Occidente rispetto a una guerra di invasione più vicina come quella russa in Ucraina. Sono diversi però gli aspetti che rendono questo conflitto non trascurabile all’Occidente, a partire dalla violazione dei diritti umani, fino alle conseguenze che gli schieramenti internazionali possono generare sulla futura rabbia e il risentimento anti-occidentale del cosiddetto “mondo arabo” (e non solo).

Perché interessarsi al conflitto? Il motivo umanitario: restare umani

Mentre nelle terre che oggi prendono il nome di Israele, nelle città come Gerusalemme e Tel Aviv la vita continua quasi del tutto come prima, con luce, acqua, cibo e attività di svago come discoteche, corsi di cucina e molto altro, nella Striscia di Gaza “ogni giorno un nuovo edificio e un paio di abitazioni sono bombardate, un genocidio è in corso, le vittime e i feriti continuano a crescere”. Lo scrive la giornalista Plestia Alaqad sul suo profilo Instagram, da quale tutti i giorni racconta i bombardamenti a Gaza.

Quella in corso è una crisi umanitaria e non solo. Perché si parla di “genocidio”? I missili sui civili non sono una conseguenza della caccia ad Hamas, questo perché il governo israeliano (un governo di estrema destra) non ha mai fatto mistero dei suoi interessi nella cancellazione della Palestina e dei palestinesi. Il 9 ottobre il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto ai cittadini palestinesi di Gaza di evacuare perché la città sarebbe stata rasa al suolo. I primi convogli partiti sono stati bombardati. In ogni caso la Striscia di Gaza non è altro che una “prigione a cielo aperto” - per parafrasare il libro di ilan Pappé - dove anche prima dell’inizio dell’aggressione più massiccia era difficile far entrare i beni di prima necessità, ancora di più uscire.

Bambini di serie A e bambini di serie B: di cosa si parla?

La guerra in corso coinvolge tanto i palestinesi quanto gli israeliani, è vero, ma le conseguenze sono differenti. È stato sempre Benjamin Netanyahu a parlare di “bambini di serie A” e “bambini di serie B”, definendo i bambini di Israele come di luce e quelli palestinesi dell’oscurità. Per il governo di Israele non ci sono innocenti e ogni palestinese è un terrorista o un alleato di Hamas.

Il termine “genocidio”, nei confronti della politica di Israele, viene usato per descrivere la cancellazione della Palestina, a partire dalla sua popolazione (altro termine utilizzato infatti è “pulizia etnica”). Chi sono i palestinesi? Quasi la metà della popolazione (47%) sono bambini, il 40% della popolazione della Striscia di Gaza ha meno di 14 anni. La popolazione tra i 15 e i 29 anni è pari al 27,8%, quella con almeno 60 anni solo il 4,8%. Questo perché a Gaza è difficile invecchiare. A determinarlo non sono solo le condizioni di privazione che vivono quotidianamente (acqua non potabile, assenza di cibo, blocchi della corrente anche nelle strutture ospedaliere e assenza di cure adeguate) ma anche perché i bombardamenti o le incursioni militari fanno vittime, anzi martiri (termine usato dalla popolazione palestinese).

I doppi standard dell’Occidente: diritto a difendersi, ma non per tutti

Il doppio standard occidentale ha visto negli attacchi della Russia contro le infrastrutture civili come crimini di guerra; ha riconosciuto nella privazione dell’acqua, dell’elettricità e del riscaldamento un crimine di guerra, ma le stesse realtà (se non peggiori) non sembrano equivalere per Israele. La narrazione della guerra di Israele contro Hamas è distorta e alienante.

Alle parole inumane dei politici russi, l’Occidente si è giustamente indignato, ma quando sono i politici israeliani a farlo no; quando vengono bombardate scuole, ospedali, chiese e convogli di donne e bambini in fuga l’indignazione occidentale resta nascosta sotto un velo di interessi politici ed economici.

Di fronte all’unica domanda posta dai giornalisti a chi difende la posizione palestinese, ovvero «Condannate Hamas?», è l’ambasciatrice di Palestina Abeer Odeh a dare la risposta:

Non so cosa volete ottenere con questa domanda, non è questa la domanda giusta. Implica che i palestinesi sono disumani. La domanda giusta è se condannate i 75 anni di occupazione. Questo è quello che dovete condannare. Non sto sopportando nessuno, ma dobbiamo essere onesti e non andare verso la giustificazione delle azioni di Israele, che sottintende che siamo inumani, questo significa disumanizzarci.

Ed è proprio la deumanizzazione a permettere il “diritto di difesa di Israele” e la cancellazione della Palestina. Basta ripercorrere le citazioni dei deputati israeliani per capire come quella in corso non sia più una vendetta o un tentativo di eliminare un gruppo considerato “terroristico” come Hamas:

  • Ho ucciso molti arabi nella mia vita, non c’è niente di male in questo” (Naftali Bennet, ex primo ministro);
  • Chi uccide un palestinese è un eroe e avrà il mio totale supporto” (Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale);
  • Stiamo combattendo con animali umani, dobbiamo agire di conseguenza” (Yoav Galant, ministro della Difesa)
  • Sono tutti nostri nemici e dobbiamo avere le mani sporche del loro sangue. Vale anche per le madri che altrimenti cresceranno altri piccoli serpenti” (Ayelet Shaked, ex ministra dell’Interno)
  • Picchiateli, massacrateli finché il dolore sarà insopportabile” (Benjamin Netanyahu, primo ministro)

La deumanizzazione passa anche attraverso la politica e i media occidentali (gli schieramenti non sono evidentemente dettati da motivi umanitari) che hanno scelto di raccontare una parte del tutto. Interessarsi al conflitto in corso vuol dire restare umani di fronte alla crisi umanitaria e alle conseguenze del conflitto per i bambini (senza distinzione tra quelli di seria A e quelli di serie B).

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# Guerra

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