Una pioggia di missili da parte dell’Iran cade su Tel Aviv. Ma perchè questo attacco a Israele? Ecco le ragioni di Teheran e i possibili sviluppi.
In un contesto di crescente tensione geopolitica, il conflitto tra Iran e Israele si è intensificato, portando a un attacco missilistico senza precedenti che ha sollevato interrogativi inquietanti sulla stabilità della regione. Mentre l’Occidente si affanna a mantenere l’equilibrio geopolitico, le vite di milioni di innocenti sono appese a un filo.
Una spirale di violenza che si allarga inesorabilmente
A Tel Aviv, sirene di allerta hanno suonato mentre i missili ronzavano nel cielo, seguiti da esplosioni e da una popolazione in preda al panico. Due persone sono state ferite, ma la maggiore vittima è il processo di pace che sembra sempre più lontano.
Per chi seguiva la vicenda questo attacco potrebbe non arrivare come una sorpresa. Infatti, negli ultimi giorni, il clima di crisi era diventato insostenibile. Gli avvertimenti della Casa Bianca sulla preparazione di un attacco missilistico da parte dell’Iran avevano segnato un nuovo capitolo di questa drammatica escalation. La risposta dell’Iran alla fine è arrivata, ed è arrivata anche per via dell’allargamento delle operazioni di terra israeliane.
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Qual è la differenza tra Hezbollah e Hamas?
Infatti, nonostante il governo di Israele abbia lanciato una violenta operazione di terra nel Libano meridionale sostenendo che sia per via di Hezbollah che minaccia la sua sicurezza, la realtà è che gli attacchi aerei della nazione avevano da tempo alimentato una profonda spirale di violenza, portando alla morte dei leader di Hezbollah e Hamas.
Quindi, l’operazione terrestre israeliana in Libano ha scatenato una reazione prevedibile: la rappresaglia dell’Iran, che si è tradotta in un attacco missilistico. Le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno giustificato l’azione come una risposta a ciò che hanno descritto come “attacchi terroristici” da parte di Israele.
Perchè L’Iran ha attacco Israele
L’attacco dell’Iran a Israele non è solo una reazione a specifici eventi recenti, ma rappresenta l’espressione di una strategia geopolitica più ampia. L’Iran considera Israele una minaccia esistenziale, non solo per la sua sicurezza nazionale, ma anche per l’influenza che ha sulle dinamiche politiche nel Medio Oriente. Con il sostegno degli Stati Uniti e dei suoi alleati, Israele è visto come un agente destabilizzante che cerca di contenere l’influenza iraniana nella regione, attraverso azioni militari dirette e supporto a gruppi rivali.
L’Iran ha quindi non ha attaccato solo per via del conflitto a Gaza, ma piuttosto ha risposto a quella che vede come un’aggressione alla propria stabilità nella regione, affermando la propria posizione e (nel frattempo) cercando di rafforzare la propria legittimità come rinnovato difensore dei diritti dei palestinesi e degli arabi.
La reazione israeliana, che ora annuncia avvertimenti di “gravi conseguenze” per l’Iran, mette in luce il pericolo sempre più concreto di un conflitto su larga scala che potrebbe coinvolgere non solo le nazioni finora interessate, ma anche gli alleati occidentali, in particolare gli Stati Uniti. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha esortato alla coesione nazionale mentre il suo governo prepara il terreno per rispondere a questo attacco che, secondo lui, minaccia l’esistenza stessa dello stato israeliano.
Le reazioni internazionali
Il ministro degli esteri britannico, David Lammy, ha chiesto un cessate il fuoco immediato e ha avvertito che:
Nessuno vuole tornare agli anni in cui Israele si è trovato impantanato in una palude nel sud del Libano. Nessuno vuole vedere una guerra regionale, il prezzo sarebbe enorme per il Medio Oriente e avrebbe un effetto significativo sull’economia globale
Allo stesso tempo, i funzionari statunitensi hanno espresso un cauto sostegno all’operazione, con il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, che concorda con il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, sulla:
Necessità di smantellare l’infrastruttura di attacco (Hezbollah) lungo il confine.
La Casa Bianca aveva precedentemente avvertito di avere indicazioni che l’Iran si stesse preparando a lanciare imminentemente un attacco missilistico balistico contro Israele:
Stiamo attivamente supportando i preparativi difensivi per difendere Israele da questo attacco.
Era quanto dichiarato. Aggiungendo anche che:
L’attacco comporterebbe gravi conseguenze per l’Iran.
Inoltre, il portavoce IDF ha affermato che gli Stati Uniti avevano avvertito Israele dell’imminente attacco. Quindi l’ammiraglio Daniel Hagari sostiene che:
Le forze israeliane sono al massimo stato di prontezza, sia offensiva che difensiva.
E ha aggiunto:
Il fuoco iraniano sullo stato di Israele avrà conseguenze. Abbiamo piani e capacità.
Cosa succede adesso
Con l’intensificarsi della crisi, le possibilità di un’ulteriore escalation militare sembrano aumentare. Israele ha già attivato la sua difesa aerea e mobilitato le forze armate, dispiegando i soldati lungo il confine libanese e rafforzando la presenza militare nelle aree a rischio.
L’attacco missilistico iraniano ha chiaramente destato preoccupazioni tra i leader israeliani, che temono non solo per la propria sicurezza, ma anche per il rafforzamento delle alleanze regionali dell’Iran (come Hezbollah). Gli esperti avvertono che la situazione potrebbe degenerare in un conflitto aperto e prolungato, che coinvolgerebbe non solo Israele e Iran, ma anche altri attori regionali, come lo stesso Hezbollah e i gruppi armati palestinesi.
I civili, da entrambe le parti, rischiano di diventare le principali vittime di questa spirale di violenza. Gli attacchi indiscriminati, le evacuazioni forzate e la paura costante delle ritorsioni militari minacciano la vita quotidiana di milioni di persone. In Libano, la crisi umanitaria si aggrava, con oltre un milione di sfollati a causa dei bombardamenti, mentre le già fragili infrastrutture di Gaza sono al collasso. Le speranze di una pace duratura sembrano svanire di fronte all’impotenza della comunità internazionale e all’incapacità dei leader regionali di trovare un terreno comune.
La crisi umanitaria in Libano continua: «intrappolato tra due fuochi»
Nel frattempo, il Libano è stato colpito duramente: circa un milione di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case a causa dei bombardamenti israeliani, aggravando la crisi umanitaria nel paese. La situazione è critica nelle aree meridionali, dove la scarsità di cibo, acqua e medicine ha raggiunto livelli allarmanti, rendendo difficile la vita per i civili, che già vivevano in condizioni precarie a causa della crisi economica del Libano.
Il primo ministro libanese Najib Mikati ha descritto la situazione come una delle fasi più pericolose della storia del Libano, esprimendo preoccupazione per il destino dei civili intrappolati “tra due fuochi”. Mikati ha anche lanciato un appello alla comunità internazionale affinché intervenga per fermare il ciclo di violenza e proteggere i diritti umani. Tuttavia, la risposta internazionale è stata timida: l’attenzione è focalizzata nei rispettivi interessi regionali e geopolitici piuttosto che sul benessere dei civili libanesi.
In questo contesto, non dimentichiamoci della Palestina: l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) ha avvertito che la crisi umanitaria potrebbe peggiorare, con un aumento dei casi di malnutrizione tra i bambini e un aumento delle malattie trasmissibili a causa delle condizioni igienico-sanitarie deteriorate. La popolazione rifugiata palestinese, già vulnerabile, si trova ora in una situazione ancora più difficile, essendo spesso esclusa dai programmi di aiuto e di soccorso.
E la comunità internazionale cosa fa?
La comunità internazionale osserva con crescente apprensione, ma il timore è che le diplomazie della regione non siano all’altezza della situazione. Gli Stati Uniti si affannano a controllare il caos senza un piano concreto per una risoluzione duratura. La loro continua assistenza militare a Israele, che ha raggiunto livelli record, suscita profonde critiche e alimenta un clima di impunità per le forze israeliane, contribuendo ad aggravare le sofferenze dei palestinesi.
In questo contesto, le divisioni interne all’Autorità Palestinese non fanno che aggravare la situazione. La frattura tra Hamas e Fatah ha impedito ogni tentativo di unificazione politica e quindi di posizionamento strategico al livello regionale. Ma non solo: si diffonde anche una sensazione di impotenza tra i cittadini palestinesi, che si trovano a dover affrontare non solo l’occupazione e la violenza israeliana, ma anche le proprie divisioni interne. Questa mancanza di unità è evidente, con le elezioni rinviate e l’assenza di una leadership coesa che possa rappresentare gli interessi e le aspirazioni del popolo palestinese.
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La situazione si complica ulteriormente riseptto alla già citata crisi umanitaria in Libano, dove circa un milione di persone sono state costrette a fuggire a causa dei bombardamenti israeliani. La sofferenza umana è accentuata dall’incapacità della comunità internazionale di offrire soluzioni reali ed efficaci per alleviare le difficoltà di chi vive in queste aree di conflitto, in particolare da parte di un’America che, pur dichiarando di sostenere la pace, continua a sostenere militarmente Israele.
La possibilità di una guerra allargata è più concreta che mai
Un intervento diplomatico potrebbe tentare di disinnescare la crisi, ma a cponti fatti ora la possibilità di un conflitto armato allargato rimane la più concreta. Il sostegno iraniano a gruppi come Hezbollah e le milizie irachene rappresenta una potenziale escalation della crisi, aumentando il rischio di un conflitto più ampio. Inoltre, la retorica incendiaria e gli attacchi aerei israeliani hanno già attirato l’attenzione della comunità sciita e potrebbero con ogni probabilità innescare una reazione collettiva, trasformando un conflitto locale in una guerra regionale.
In questo clima di incertezza e vulnerabilità, i civili continuano a subire le conseguenze più gravi e le speranze di una pace duratura (già flebili) sembrano svanire. I rapporti delle organizzazioni umanitarie segnalano un aumento delle violenze e delle violazioni dei diritti umani: c’è urgente bisogno di un intervento internazionale coordinato che possa finalmente mettere fine a questo ciclo di sofferenza, se è rimasta ancora una speranza che questo scenario sia possibile.
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