La Cina cresce e manda nel caos l’Occidente, con gli Usa in piena guerra commerciale contro Pechino e l’Europa in bilico tra appoggio a Biden e difesa di interessi commerciali. Cosa sta accadendo.
La Cina sta tornando e rischia di mandare nel caos un Occidente pressato da guerra in Ucraina, inflazione, recessione e tensioni geopolitiche assai scomode.
Sebbene con qualche ombre, è evidente che il dragone si sta riprendendo dai momenti bui del Covid e apre nuovamente le porte agli affari occidentali. I dilemmi per gli investitori sono diversi: puntare o no nella seconda economia più grande del mondo mentre le tensioni geopolitiche sul destino di Taiwan si intensificano?
E poi: fin dove può arrivare la crescita cinese, comunque indebolita rispetto ai numeri impressionanti a cui aveva abituato politici ed economisti mondiali? Mentre si cercano le risposte, Europa e Stati Uniti dimostrano di essere in balia del dragone. Con la Casa Bianca ormai in aperta guerra commerciale contro Pechino, il vecchio continente è nel limbo: appoggiare incondizionatamente Biden e rinunciare al commercio cinese?
Ecco perché la Cina sta mandando nel caos l’Occidente.
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In un’analisi del FT, Anne-Sylvaine Chassany ha messo in evidenza come il ritorno della crescita cinese stia impattando sul business occidentale.
L’espansione economica della Cina del 4,5% nel primo trimestre si è fatta strada negli utili dei marchi occidentali, soprattutto nella fascia dei consumatori più ricchi.
Porsche ha registrato un aumento record del 18% nelle vendite guidato dal dragone, il più grande mercato della casa automobilistica di lusso tedesca.
LVMH è stato favorito nei conti dall’esuberanza nel più grande mercato di beni di lusso del mondo, che secondo il gruppo francese ha determinato un aumento del 17% delle vendite nel primo trimestre proprio mentre la crescita si stabilizzava negli Stati Uniti. Nel frattempo, il suo rivale con sede a Parigi, Hermès, ha salutato «un ottimo capodanno cinese», rivelando un aumento del 23% delle entrate in tutta l’Asia.
Tuttavia, c’è un “elefante nella stanza”, come ha osservato l’economista di UniCredit Erik Nielsen in un briefing post-FMI: le crescenti tensioni geopolitiche tra Cina e Occidente stanno portando “il cambiamento più profondo in una generazione nel pensiero di politica economica, e nelle priorità politiche”.
“Negli Stati Uniti il punto cruciale è di contenere la Cina. In Europa, è solo in parte così. Ciò significa che se (o quando?) le relazioni Usa-Cina si deteriorano ulteriormente in questo gioco di parole, portando a ulteriori misure protezionistiche tra cui divieti di esportazione e sanzioni, molto probabilmente le imprese europee saranno intrappolate tra le due parti”, ha scritto l’economista.
Le aziende sono consapevoli di questo rischio da quando l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto una serie di sanzioni economiche alle società cinesi, segnando uno spostamento più conflittuale nei confronti di Pechino che è continuato sotto il suo successore democratico Joe Biden.
Per le catene di approvvigionamento questa posizione, unita alle enormi interruzioni commerciali durante la pandemia di Covid, ha spinto le aziende ad abbandonare il concetto di «just in time» per «just in case» - con gruppi da Intel ad Apple che rivisitano la loro dipendenza dalla Cina e cercano di spostare parte della loro produzione altrove, in paesi come India e Vietnam.
Ma l’interdipendenza con la Cina costruita negli ultimi due decenni è tale che questo non è un compito facile, come dimostrano le difficoltà di Apple in India. E se c’è una lezione dal ben più piccolo distacco tra la Russia e l’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina, è che il processo è doloroso per i marchi occidentali.
La ripresa economica della Cina non farà che rendere più difficile l’attuazione di questi piani di diversificazione delle catene di approvvigionamento, soprattutto per i gruppi quotati in borsa.
In questo modo, Pechino sta mandando in tilt l’intero sistema occidentale.
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