Motivi economici, sociali e geopolitici; sono tante le ragioni che portano a postdatare la fine del conflitto. Le ricostruzioni del The Atlantic e non solo.
Tra dubbi e scetticismi ci si era chiesti se e perché la guerra in Ucraina potesse realmente finire il 9 maggio. La risposta a questa domanda era incerta allora come ora, ma dobbiamo guardare anche all’altra faccia della medaglia ovvero al prosieguo, nonostante un’eventuale (e formale) cessate il fuoco, di una «guerra a bassa intensità» per vari anni.
Questo termine merita attenzione e approfondimento soprattutto ora che si parla di una seconda fase del conflitto ucraino ovvero lo spostamento di quasi tutte le truppe russe nel Donbass per ottenere una possibile vittoria nominale in tempi brevi.
È importante ascoltare però anche le voci degli analisti e dei leader europei che come Boris Johnson scardinano questa visione; una visione che, come in realtà abbiamo già sottolineato, sarebbe più che altro una mossa di facciata qualora dovesse davvero avere successo.
Proviamo quindi a capire perché la guerra difficilmente finirà a breve, andiamo a fondo della questione.
Jonhson parla del 2023: la «visione realista» britannica è troppo ottimistica?
Le domande sulla fine del conflitto sono sopraggiunte già dalle prime settimane di combattimento con una triste e amara consapevolezza della maggior parte dell’opinione pubblica: questa non sarà una guerra lampo.
Sebbene Mosca l’avesse programmata e immaginata come una rapida incursione quasi indolore per le sue forze, la resistenza ucraina con il supporto economico e bellico di tutto l’Occidente e buona parte degli altri Stati del mondo, ha rovinato la festa di Vladimir Putin. La vittoria dell’Ucraina non è mai apparsa una prospettiva realistica però si preferiva (e si preferisce) parlare piuttosto «logorare le forze russe» il più a lungo possibile per giungere a dei trattati di accordo tra le parti.
Il Regno Unito per primo, tramite una visita segreta del leader Boris Johnson al presidente Volodymyr Zelens’kyj, aveva promosso il supporto logistico del Paese. Nonostante ciò l’opinione attuale del primo ministro inglese appare discordante rispetto a questo quadro o meglio, l’evoluzione delle manovre sul campo non lo rassicurano come un tempo.
Nella sua ultima visita istituzionale in India ha infatti rilasciato delle dichiarazioni alla stampa. Da ciò emerge la «possibilità» che la guerra in Ucraina continui almeno fino alla fine del prossimo anno e che, sempre in quest’ottica che lui stesso definisce «realistica», Vladimir Putin sia «ancora in posizione di vincere».
Le sue motivazioni sono le seguenti:
«La cosa triste è che è una possibilità realistica perché Putin ha un esercito enorme ma una posizione politica molto difficile perché ha fatto un errore catastrofico. L’unica opzione che ora ha davvero è quella di continuare a usare il suo approccio terribile, pesante per cercare di sfiancare gli ucraini. Ed è molto vicino ad assicurarsi un ponte di terra a Mariupol».
Queste affermazioni non sono tuttavia delle semplici opinioni personali bensì supportate da rapporti d’intelligence occidentale.
Nonostante tutto non manca la lode alla «straordinaria forza d’animo e al successo» con cui «il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e del suo popolo resistono alle forze russe». Il plauso che rivolge loro è quella di un «incredibile eroismo».
Rispetto alle scelte dell’Occidente ha poi proseguito dicendo come sia necessario «valutare cos’altro si può fare militarmente»:
«Dobbiamo continuare a intensificare le sanzioni economiche. Ed è quello che stiamo facendo».
La vera domanda non è quando, ma dove
C’è però chi, come la giornalista Yasmeen Serhan della rivista americana The Atlantic, dice che queste parole siano solo una parte della realtà dei fatti - la versione più ottimistica.
Da un suo recente articolo emerge chiaramente che una campagna militare più brutale non equivalga necessariamente a una campagna più breve.
Il motivo è presto detto:
«Anche se le truppe russe saranno in grado di prendere il controllo di Kiev e di altre grandi città, dovranno affrontare la sfida probabilmente più grande di occupare il paese, per non parlare della repressione di un’insurrezione potenzialmente violenta.»
Se già la popolazione ucraina aveva dato il forte segnale di volersi avvicinare all’Europa (vedesi le proteste di Euromaidan nel 2014), oggi lo sdegno dei civili sarebbe ancor più marcato.
La resistenza ucraina in poche parole probabilmente «non sarebbe in grado di negare a Putin una vittoria militare nel Paese, ma potrebbe almeno impedirgli di dichiararne una politica.»
Una impasse che perdurebbe per decenni è quello che prospetta Thomas Pepinsky, un collega di Serhan della Brookings Institution che sostiene come «una situazione di stallo, per l’Ucraina, è probabilmente più tollerabile di quanto lo sia per Putin».
C’è infatti tutta la questione legata ai costi, già esorbitanti, di un conflitto meno impari di quel che Putin credeva possibile. L’errore strategico sarà pagato caro sia sul fronte sociale sia su quello meramente finanziario; ma non è detto che tutto questo impedisca il peggio.
Il più grande dei problemi è ancora all’orizzonte e si tratta di un tema che la stampa internazionale ha trattato con notevole attenzione e a cui anche noi abbiamo cercato di dare risalto spiegando ad esempio perché la Transnistria è importante per la Russia.
La guerra della Russia infatti non è affatto detto che non si intensifichi oltre l’Ucraina. La preoccupazione maggiore è verso i paesi post-sovietici come Moldavia e Georgia che, come l’Ucraina, hanno regioni separatiste sostenute dal Cremlino all’interno dei rispettivi territori.
C’è infine il più nefasto degli scenari: il rischio che l’aggressione russa possa estendersi anche più lontano, nei Paesi baltici. Non possiamo insomma escludere nulla, soprattutto alla luce dei commenti del ministro degli Esteri britannico:
“Siamo solo all’inizio. Non abbiamo idea di quali saranno le conseguenze a lungo termine o anche nel breve termine".
La più grande incognita non è quindi quando questa guerra finirà, perché non sarà presto, ma piuttosto dove.
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