Perché un mondo senza contanti conviene a tutti (o quasi)

Stefano Rizzuti

02/12/2022

Nonostante il governo Meloni abbia deciso di eliminare, di fatto, il Pos obbligatorio, la tendenza internazionale sembra dire il contrario: un mondo senza contanti è possibile e conviene davvero?

Perché un mondo senza contanti conviene a tutti (o quasi)

Un mondo senza contanti. Cashless, si direbbe in inglese. In cui tutte le transazioni avvengono con carte, bancomat e app. Utopia o distopia che sia, in base ai diversi punti di vista, non è poi così lontano. Diversi studi prevedono che alcuni paesi presto saranno liberi dal contante.

Al di là delle abitudini e dei metodi di pagamento solitamente utilizzati, c’è una certezza: la lotta al contante vuol dire anche lotta all’evasione fiscale, alla corruzione, al lavoro nero e in generale all’economia sommersa. E non solo, perché molti studi dimostrano anche altri due elementi: da una parte che pagare con carte e bancomat costa meno (sia per il consumatore che per gli esercenti), dall’altra che un mondo cashless può anche aumentare il benessere.

Ma stiamo davvero andando verso un mondo senza contanti? Alcuni casi di studio sembrano dire di sì. Per esempio il Fondo monetario internazionale prevedeva, qualche anno fa, che negli 11 paesi presi in esame la quota del contante sarebbe diminuita mediamente dell’1,4% l’anno.

Una tendenza che deriva da diversi fattori, a partire dal cambiamento della popolazione, con i giovani molto più propensi a ricorrere solamente a pagamenti elettronici. E poi è evidente, soprattutto con la pandemia, la crescita degli acquisti online, che alla lunga si riflette anche sulle abitudini quotidiane. Cosa succederà ai contanti? E conviene davvero rinunciarci?

Contanti o pagamenti elettronici: come cambiano le abitudini

Le abitudini dei consumatori, anche e soprattutto in Italia, sono sicuramente cambiate negli ultimi tempi. Sull’uso del contante e delle carte, indubbiamente, ha giocato un ruolo decisivo la pandemia. Come ha spiegato a Money.it Paolo Gatelli, docente di Ict e società dell’informazione dell’Università Cattolica e senior research manager del Cetif, con il Covid si sono ampliate le possibilità di pagamento per i consumatori: prima ricorrendo, per forza di cose durante il lockdown, ai pagamenti online; poi traslando queste abitudini anche all’uso quotidiano e agli acquisti in negozio. Le abitudini, oggi, sono molto diverse rispetto a due anni fa.

Resta però un problema, sottolineato da uno studio della Banca d’Italia dal titolo “Easier said than done: why Italian pay in cash while preferring cashless”: gli italiani, pur preferendo strumenti cashless, continuano a pagare prevalentemente in contanti. Probabilmente una conseguenza del fatto che mancano decisioni politiche che inducano tutti ad accettare senza problemi i pagamenti con il Pos. Tanto che l’obbligo, introdotto il 30 giugno dal governo Draghi, presto sparirà per i pagamenti sotto i 60 euro, stando a quanto deciso finora dal governo Meloni.

Perché non conviene pagare in contanti

Ma pagare in contanti a chi conviene ancora? Siamo sicuri che i costi - per consumatori e negozianti - siano minori rispetto alle carte e alle commissioni pagate sul Pos? Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto un’indagine della Banca d’Italia, nella quale si spiega che i pagamenti elettronici fanno risparmiare i negozianti anche rispetto ai contanti.

Ricevere un pagamento elettronico costa meno rispetto a uno in contanti, spiega il report: il costo medio è dell’1% sull’importo della vendita, con una percentuale che su carta e app è dello 0,65% e in calo negli anni (un altro studio dimostra che negli ultimi cinque anni il costo fisso è stato ridotto di oltre il 50%).

Il costo privato del contante, invece, è più alto per diverse ragioni. A partire dai maggiori oneri per gli esercenti legati alla sicurezza: rischio di furti, trasporto valori, assicurazioni. Poi c’è il tempo necessario per contare gli incassi, un costo meno materiale ma ugualmente tangibile. E, spiega ancora Bankitalia, il costo è più alto proprio per i piccoli esercizi commerciali.

Non solo, perché stampare banconote ed effettuare controlli anti-contraffazione è un onere a carico di tutti i cittadini, quindi sia consumatori che esercenti. Parliamo - spiega l’indagine - di un costo totale di circa 7,4 miliardi di euro da dividere tra Stato e negozianti.

Addio al contante, cosa succede nel mondo

Il contante può davvero sparire dalla circolazione? In alcuni Paesi sembra proprio di sì. In Svezia il 98% della popolazione ha una carta e i negozianti possono persino rifiutare i pagamenti in contanti. Secondo uno studio della Banca centrale svedese, già nel 2023 il paese potrebbe essere praticamente senza contanti.

In Norvegia la situazione non è molto diversa: solo il 3-5% delle transazioni oggi viene effettuata in contanti. In Finlandia la Banca centrale prevede che entro fine 2029 il Paese sarà libero dal contante e già oggi l’80% dei finlandesi preferisce i pagamenti elettronici anche in negozio, a fronte di una diminuzione dei pagamenti in contanti. Infine, altro dato significativo, in Canada negli ultimi cinque anni l’uso del contante è diminuito del 40%.

Senza contanti cresce il Pil?

Eliminare i contanti e passare solo ai pagamenti digitali conviene davvero? Difficile avere una risposta valida per tutte le situazioni, ma quello che è successo in Corea del Sud è un caso di studio molto interessante. Nel 1999 è stato introdotto un incentivo fiscale per chi effettua pagamenti elettronici: i consumatori hanno diritto a una deduzione sul reddito pari a cifre che vanno dal 10% al 30% dell’importo totale.

Il rimborso avveniva in sede di dichiarazione di redditi, con un meccanismo molto semplice: un modulo precompilato che deve essere solo visionato per conferma e inviato. I soldi vengono ricevuti in busta paga il mese successivo. Cosa è successo? In 15 anni la Corea del Sud è diventata quasi cashless: i pagamenti elettronici sono passati dal 5% al 43% del Pil.

I risultati sono stati positivi su più fronti, anche quello riguardante la sicurezza. La Banca centrale ha fatto sapere che la mancanza di domanda per i contanti ha portato a un calo del denaro contraffatto: nel 2020 sono state sequestrate solamente 272 banconote false.

Ma gli effetti ci sono stati anche sul gettito nelle casse dello Stato: a fronte di mancate entrate stimate in 1,5 miliardi di euro si sono registrate maggiori entrate per 2,6 miliardi, il 4% in più rispetto a uno scenario senza incentivi. Tradotto, vuol dire che questa misura ha fatto emergere il sommerso e accrescere il Pil.

Perché un mondo senza contanti conviene?

In conclusione, i dati parlano chiaro. Passare al Pos, abbandonando gradualmente il contante, conviene ai negozianti che pagherebbero meno anche su piccoli importi. Conviene ai consumatori che pagano di più per stampare banconote che non per usare le carte. Conviene, in generale, all’economia di un Paese e all’emersione del sommerso, come dimostra la Corea del Sud. E poi ci sono le abitudini dei consumatori, su cui sembra molto difficile tornare indietro, soprattutto in alcuni Paesi: piaccia o non piaccia, la tendenza è questa e il contante rischia se non di sparire, quantomeno di essere fortemente ridimensionato.

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