Putin schiera armi nucleari al confine con l’Ucraina, negli stessi territori dove l’invasione ebbe inizio. Ecco cosa potrebbe succedere entro luglio.
Sin dagli albori della guerra in Ucraina la Russia ha sfruttato la minaccia nucleare come deterrente psicologico nel tentativo di allontanare la Nato dai suoi obiettivi e spezzare le linee di rifornimento bellico che l’Occidente ha disposto per sostenere il fronte di Kiev. Dalle parole ora però si passa, almeno formalmente, ai fatti. O meglio, si predispone il necessario per far diventare quelle che fino ad oggi erano solo delle dichiarazioni una prova tangibile nel giro di pochi mesi.
Ieri infatti Vladimir Putin ha annunciato che «il primo luglio sarà completata la costruzione di un deposito di armi nucleari tattiche in Bielorussia». Il presidente russo ha detto che non verranno trasferite le armi nucleari in dotazione a Mosca ma che saranno messe lì per addestrare i militari bielorussi.
Questo tentativo intimidatorio, per quanto ancora contenuto, allerta però la Polonia e i paesi Baltici che potrebbero guardare verso gli States in cerca di protezione.
Nucleare in Bielorussia: le possibile risposte dall’Occidente
Il conflitto russo ucraino fino ad oggi non ha consegnato al Cremlino le vittorie tanto auspicate e, nel timore di un ulteriore logoramento delle forze in campo, il governo russo tenta ogni stratagemma pur di spaventare la Nato e convincerla a smettere di sostenere materialmente il governo di Kiev. Lo schieramento dell’arsenale ha il chiaro obiettivo di intimorire l’opinione pubblica internazionale e minare i rapporti d’alleanza tra gli Stati che forniscono supporto al suo avversario sul campo.
Polacchi e baltici potrebbero essere i primi a chiedere agli Stati Uniti una risposta simmetrica essendo i partner della Nato e della Ue più preoccupati per il pericolo di attacchi russi. La Polonia in particolare non sarebbe nuova a queste richieste. Lo abbiamo appreso dallo stesso presidente polacco Andrzej Duda che, lo scorso ottobre, ha rivelato di aver toccato il tema della controffensiva con la Casa Bianca:
«Noi non ne abbiamo, ma c’è sempre la possibilità di partecipare al programma di condivisione delle armi nucleari con gli Usa. Abbiamo domandato ai loro leader se stanno considerando questa ipotesi. La questione è aperta».
Al momento però non è stato dato seguito a queste parole.
Qualora ciò accadesse le strade sarebbero due: respingere la richiesta di aiuto, abbandonando Varsavia e perdendo il corridoio strategico di rifornimento all’Ucraina, o accoglierla, innalzando ancora di più la tensione nucleare globale, mai così accesa dai tempi della Guerra Fredda.
Nel secondo scenario l’unica certezza è che i territori del nord Europa non sarebbero i soli interessati da un’eventuale mobilitazione. Anzi, se venisse richiesta agli USA una mossa simmetrica a quella russa con buone probabilità verrebbero coinvolte anche Germania, Italia, Belgio e Olanda, attuali sedi di bombe «tattiche» americane. La palla a quel punto passerebbe ai rispettivi governi nazionali per deliberare (o meno) l’adesione alla risposta bellica statunitense.
Kiev può prevenire l’attacco nucleare?
Mettendo da parte per un attimo i timori occidentali e immaginando che in queste prossime settimane da Varsavia non arrivi nessuna richiesta di intervento diretto, sarà tutta una questione di tempistiche e di preparazione militare dei due schieramenti già al fronte.
Il deposito-bunker per le testate di Minsk sarà completato il prossimo primo luglio ma gli analisti ritengono che Kiev potrebbe muoversi all’assalto nel tentativo di recuperare i territori occupati entro inizio giugno nella speranza di mandare in fumo le prospettive di un’avanzata nemica.
Le mosse ucraine dipendono tuttavia dai nuovi programmi di addestramento e sistemi bellici promessi dall’Occidente entro metà maggio - in particolare missili contraerei, carri armati, veicoli corazzati e riserve di munizioni. Sarà questo contributo a fare la differenza nel tentativo di sfondare le linee russe e raggiungere il Mare di Azov e liberare Crimea, obiettivo principale di Kiev ormai da tempo.
In questo quadro di ipotesi e teorie ancor fumose, il più grande pericolo all’orizzonte è il lento ma progressivo sgretolarsi di una possibilità di pace e di negoziato.
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