Mentre il governo Draghi è alle prese con una crisi dalla difficile soluzione, in Europa si rafforzano le voci per un ritorno all’austerità nelle politiche fiscali e monetarie.
Il governo Draghi continua a essere appeso a un filo. Il presidente del Consiglio, dopo lo strappo del Movimento 5 Stelle che non ha partecipato al voto di fiducia sul dl Aiuti, domani tornerà in Parlamento. A Camera e Senato l’ex numero uno della Bce chiederà un sostegno largo e la disponibilità a continuare con lo spirito che lui considera di unità nazionale.
Nel frattempo, però, mentre le cancellerie europee e Washington provano a convincerlo a restare, nell’Ue gli effetti della crisi si fanno già sentire. Si moltiplicano infatti le voci che vorrebbero un ritorno all’austerity fiscale e che spingono per ridurre gli interventi della Bce sui mercati all’osso. Insomma, i famosi falchi, tra politici del Nord-Europa e rigoristi della Banca centrale europea.
Draghi contro l’austerità in Europa
Mario Draghi, seppur al vertice di un governo di larghe intese che più di una volta è apparso fragile per i contrasti in maggioranza, è stato dipinto comunque come uno dei leader dell’attuale Europa. I media internazionali hanno descritto la foto del viaggio in Ucraina di giugno, assieme al francese Emmanuel Macron e al tedesco Olaf Scholz, come la rappresentazione della nuova triade al vertice dell’Ue.
Tutti e tre, seppur partano da esperienze e posizioni politiche diverse, sono contrari alla vecchia austerità europea e hanno spinto per continuare sulla linea di investimenti comuni al livello continentale, con politiche di bilancio non troppo restrittive.
Sale il pressing dei falchi della Bce
Con Macron indebolito dalla perdita della maggioranza in Assemblea nazionale e Scholz «frenato» dal suo ministro delle Finanze, il rigorista Christian Lindner, la caduta di Draghi potrebbe essere il colpo finale per l’Europa pro-spesa e una Bce interventista come negli ultimi anni. Questo, almeno, è il timore di diversi analisti ed investitori che operano sui mercati finanziari del Vecchio Continente.
Giovedì, 21 luglio, il board della Bce varerà il primo rialzo dei tassi d’interesse dal 2011. Non solo: renderà noti i dettagli sul cosiddetto scudo anti-spread, lo strumento a sostegno dei titoli di debito degli Stati che sostituisce i più corposi interventi delle prime ondate Covid (contenuti nel programma di acquisti Pepp).
La paura è che la crisi dell’esecutivo italiano possa essere strumentalizzata dai falchi per aumentare le condizionalità del nuovo strumento. Il nostro Paese e gli altri dell’area del Mediterraneo vengono considerati da questa parte di banchieri «instabili» e la posizione potrebbe farsi largo nel board qualora Draghi confermasse le sue dimissioni.
Le condizioni dello scudo anti-spread
Più aumentano le condizioni necessarie, più questo scudo rischia di risultare meno efficace per calmierare i rendimenti italiani sulle Piazze europee: significa interessi più alti sul debito e meno spazio per il bilancio dello Stato. In prima fila tra i falchi c’è il governatore tedesco della Banca centrale di Berlino Joachim Nagel, convinto che vadano inserite almeno sei clausole da cui far dipendere lo scudo.
Nel frattempo il vicepresidente della Commissione europea, quel Valdis Dombrovskis già noto per le sue posizioni rigoriste, è tornato a parlare di politiche fiscali necessariamente “più prudenti”. Il suo invito agli Stati è quello di trovare un equilibrio rispetto alla protezione dei più vulnerabili, limitando gli interventi su sgravi e bonus solo a chi ne ha più bisogno.
Insomma, se non proprio austerity, comunque una diminuzione degli stimoli fiscali rispetto agli anni più duri del Covid. Il tutto, però, mentre le stesse previsioni della Commissione, tra inflazione record, possibile stop al gas russo e debolezza dell’euro sul dollaro, avvicinando sempre di più lo spettro della recessione. E comprimere la spesa pubblica in questo caso rischia di essere deleterio per un’economia ancora fragile come quella italiana.
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