Pil, lavoro, debito pubblico e Pnrr: l’eredità di Draghi in economia, come lascia il Paese a Meloni?

Giacomo Andreoli

19/10/2022

Draghi dice arrivederci a palazzo Chigi dopo 20 mesi di governo: ecco come ha trovato l’Italia dal punto di vista economico e come la “lascia” a Giorgia Meloni e al suo probabile prossimo esecutivo.

Pil, lavoro, debito pubblico e Pnrr: l’eredità di Draghi in economia, come lascia il Paese a Meloni?

Cosa ho imparato in 20 mesi? Troppe cose. È stata un’esperienza straordinaria di cui sono straordinariamente contento. Finisce in modo molto soddisfacente e tutti noi abbiamo la buona coscienza del lavoro fatto”. Così Mario Draghi ha salutato i giornalisti a Palazzo Chigi in uno sei suoi ultimi giorni da presidente del Consiglio.

Tra pochi giorni, con tutta probabilità e a meno di uno strappo definitivo tra Forza Italia e Fratelli d’Italia, sarà sostituito da Giorgia Meloni, alla guida di un nuovo esecutivo di centrodestra.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ringraziato Draghi e i ministri presenti alla colazione di lavoro al Quirinale, rito prima di ogni Consiglio europeo (quello di domani e dopodomani sarà l’ultimo per l’ex numero uno della Bce). Mattarella ha parlato di “eccellente lavoro svolto e i lusinghieri risultati ottenuti” in questi mesi. Ma dal punto di vista economico qual è il lascito di Draghi a Meloni?

La situazione economica che ha ereditato Draghi

A febbraio 2021, quando Draghi ha assunto la guida del governo d’unità nazionale, il Paese era ancora in piena pandemia da Covid-19, anche se erano iniziate le vaccinazioni. Il Pil era già in ripresa rispetto a fine 2020, in cui però aveva subito un crollo quasi a due cifre per il virus. Inoltre c’era da completare la stesura del Pnrr, interrotta dalla crisi del governo Conte II. E ancora: i posti di lavoro avevano subito un calo nel 2020, attutito dalle misure di protezione sociale dell’esecutivo giallorosso, ma in una situazione in cui era ancora presente lo scudo della cassa integrazione straordinaria.

L’aumento del Pil

Tra il quarto trimestre del 2020 e il secondo trimestre del 2022 il Pil è cresciuto del 7,9%, con picchi nettamente migliori di Francia e Germania. Come hanno spiegato a Money.it Carlo Altomonte (professore di politica economica europea dell’università Bocconi) e Marcello Messori (docente di economia politica dell’università Luiss) questo dipende da vari elementi.

I due parlano di una “reazione positiva del settore manifatturiero e di alcuni settori del comparto dei servizi”, che hanno mostrato “una forte capacità di adattamento alla situazione post-pandemica e al nuovo shock della guerra in Ucraina, soddisfacendo una domanda sempre più elevata”.

Secondo Altomonte altro motivo del boom del Pil è stato lo stimolo fiscale del governo Draghi: sia in termini di attuazione del Pnrr, sia tramite investimenti di sostegno ai redditi di famiglie (soprattutto più deboli) e imprese. Messori sintetizza dicendo che “un certo effetto Draghi c’è stato: ha portato più coesione con i partner europei e più stabilità sui mercati finanziari”.

Draghi ha avuto successo con il Pnrr?

Quanto al Pnrr la prima rata è stata erogata dall’Ue in quanto il governo Draghi è riuscito a centrare tutti i 51 obiettivi o risultati previsti dal Piano finora, così come l’esecutivo ormai prossimo all’addio è riuscito a soddisfare anche i 45 obiettivi o risultati della seconda rata: a breve è previsto l’ok definitivo di Bruxelles, con l’Italia che così dovrebbe ricevere a novembre altri 21 miliardi.

In totale l’Italia finora ha incassato grazie al Pnrr 45,9 miliardi, ma, stando alla Nadef di recente approvata dal governo, è stato stimato che di questi soldi a disposizione entro la fine del 2022 il nostro Paese ne spenderà soltanto 20,5 miliardi, meno della metà.

Di conseguenza i fondi non utilizzati dovranno essere spesi nei prossimi quattro anni, con il governo Meloni che così avrà il compito di sbloccare in totale 170 miliardi, circa 42,5 miliardi l’anno dal 2023 al 2026. Stando a quanto scritto nella Nadef, i motivi di questo ritardo sarebbero “gli effetti dell’impennata dei costi delle opere pubbliche” e i “tempi di adattamento alle innovative procedure del Pnrr”, ovvero le immancabili lungaggini burocratiche che non sarebbero state ancora superate.

La crescita dell’occupazione

Quanto al lavoro, in un anno e otto mesi il tasso di occupazione è passato dal 56,5% all’attuale 60% (assieme a questo sono migliorati tutti gli indici su dipendenti e autonomi), ma a partire da giugno sta calando, con migliaia di persone che stanno perdendo il posto di lavoro.

Secondo l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano, intervistato da Money.it, la crescita dei posti di lavoro “non è stata di qualità”. “Il traino - ha spiegato- è purtroppo ancora costituito dai contratti a termine e occasionali, mentre il lavoro a tempo indeterminato è il fanalino di coda. Ora poi siamo addirittura a una battuta di arresto dell’occupazione: sicuramente queste sono avvisaglie preoccupanti di ciò che non va e ciò che non andrà. Viene alla luce la scarsa qualità del lavoro in Italia, che invece di migliorare subisce un arretramento”.

Più debito, meno deficit

Infine i conti pubblici. A febbraio 2021 il debito pubblico valeva 2.650 miliardi di euro, oggi 2.758 miliardi di euro (oltre 100 miliardi in più). Su questi dati pesano gli ingenti aiuti del governo Draghi a famiglie e imprese prima durante l’ultima delle ondate Covid non coperta da una prima vaccinazione a tutti e poi contro la crisi energetica e il caro-bollette.

A fine 2020, quindi, due mesi prima che si insediasse il governo Draghi, il rapporto deficit/Pil era al 9,5% mentre ora è previsto per fine 2022 al 5,1%. L’aumento del debito in assoluto e la contemporanea riduzione del deficit sono dovuti per lo più alla crescita del Pil e a quella dell’inflazione (e quindi all’aumento dei soldi ricavati da tasse e imposte).

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