Lo smarrimento di un’arma prova la non totale affidabilità del soggetto sul suo utilizzo, non avendo posto in essere le cautele necessarie per la sua custodia. Vediamo quali sono le conseguenze
Cosa accade quando si smarrisce un’arma detenuta legalmente? In prima analisi dobbiamo sapere cos’è la licenza di porto d’armi: si tratta di un’autorizzazione da parte delle autorità statali, le quali con questa concedono ai cittadini il permesso di acquistare e detenere delle armi da fuoco.
Non tutti possono ovviamente sperare di poter ottenere questa particolare licenza, che è riservata ai soli cittadini maggiorenni senza precedenti penali e rilasciata dalla Questura di competenza, la quale provvede a tutte le verifiche del caso prima di autorizzare il richiedente ad acquistare e possedere delle armi da fuoco.
Ovviamente esistono molteplici tipologie di licenza di porto d’armi. Si parte per esempio dalla licenza a uso sportivo, la quale dà il permesso di esercitare particolari pratiche sportive come il tiro a volo e il tiro a segno.
Altro tipo di porto d’armi è quello a uso venatorio, che autorizza i cittadini a possedere e portare i soli fucili da caccia durante il periodo venatorio, e unicamente nelle aree prestabilite. Altra licenza ancora è quella per il porto d’armi per la difesa personale, che va rinnovata di anno in anno ed è concessa unicamente ai cittadini che sono in grado di dimostrare una ragione valida per il girare armati, anche fuori dalla propria abitazione.
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Ultimo tipo di licenza è quello per la collezione di armi. A carattere permanente, questo documento autorizza un cittadino a collezionare delle armi comuni da sparo, sia corte che lunghe, rare o antiche – va sottolineato che non ne viene autorizzato il porto, ma solamente la detenzione.
Una volta in possesso di un’arma la sua custodia deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica e “l’incauta custodia di armi” è cosa molto insidiosa e può verificarsi in molteplici casi. Bisogna prestare sempre molta attenzione.
Vediamo quindi cosa succede in caso di smarrimento e omessa custodia
Il concetto di custodia
Nel diritto penale il concetto di ‘custodia’ è da intendere come detenzione di una cosa che si deve anche conservare e difendere; trattasi, cioè, di attività di controllo di un bene finalizzata a prevenire danneggiamenti o sottrazione da parte di terzi (es. furto), sia ancora violazioni dello stato giuridico del bene.
Con riferimento al rapporto tra armi e luogo, l’art. 20, comma 1, della Legge 18 aprile 1975, n. 110 (“Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”) dispone che la custodia delle armi deve essere assicurata “con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica”, mentre per l’art. 38, ultimo comma, Tulps il detentore deve assicurare che il luogo di custodia offra adeguate garanzie di sicurezza.
Il «detentore» di armi, parti di esse, munizioni finite o materie esplodenti è colui che le possiede a qualsiasi titolo, sia esso legittimo (compravendita, donazione, ecc.) o illegittimo (furto, ricettazione, ecc.) o casuale (rinvenimento).
L’obbligo di custodia delle armi in capo al detentore si differenzia a seconda che si tratti di privati ovvero di coloro che esercitano professionalmente un’attività in materia di armi. Infatti, quest’ultimi devono adottare e mantenere efficienti difese antifurto secondo le modalità prescritte dall’Autorità di Pubblica Sicurezza, mentre i primi devono soltanto assicurare la custodia con ogni diligenza.
Quest’ultimo obbligo si considera adempiuto allorché, concretamente, siano adottate delle cautele proporzionate al pericolo che la norma penale intende scongiurare. Pertanto, vanno assunti tutti quegli accorgimenti che porrebbe in essere una persona di normale prudenza sulla base della comune esperienza
In pratica, il rispetto della norma che impone l’obbligo di custodia va valutato di volta in volta, a seconda delle situazioni contingenti.
L’omessa custodia contempla un’ipotesi di reato cd. di pericolo per la cui configurabilità è sufficiente: l’inosservanza dell’obbligo di assicurare la custodia (con ogni diligenza ovvero adottando e mantenendo efficienti difese antifurto, a seconda dei casi; art. 20, comma 2, legge n. 110/1975).
La recente sentenza del Tar
Nella recentissima sentenza numero 00342/2022 il Tar di Cagliari ha respinto il ricorso presentato da un cacciatore, cui era stato revocato il porto d’armi per uso venatorio dalla Questura. L’uomo era stato deferito all’autorità giudiziaria dai carabinieri ai quali lui stesso si era rivolto denunciando di aver perso il fucile in campagna.
Ma vediamo l’iter processuale: la vicenda inizia nel 2016 quando l’uomo, titolare del permesso dal 2013, mentre è impegnato in una battuta di caccia si accorge dello smarrimento del proprio fucile che in precedenza aveva riposto all’interno dell’abitacolo del suo veicolo.
Quindi, «ritenendo che il fucile fosse stato sbalzato fuori dall’abitacolo della sua vettura durante la percorrenza di qualche strada di campagna, verosimilmente attraverso uno strappo rinvenuto nel telo di copertura del fuoristrada» si presenta alla stazione dei Carabinieri per denunciare l’accaduto.
Dalla lettura della sentenza si evince che per i giudici il «rilascio dell’autorizzazione alla detenzione e al porto d’armi postula che il beneficiario del titolo di polizia osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza» e che «la valutazione dell’Autorità di pubblica sicurezza circa la sussistenza delle anzidette condizioni persegue infatti lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta”».
A non convincere i giudici è la ricostruzione dell’accaduto.
Così scrivono: «I fatti posti alla base della revoca sono incontroversi. Il ricorrente ha smarrito il proprio fucile da caccia in circostanze invero non chiare, dovendosi ritenere inverosimile, oltre che sprovvista di qualsivoglia supporto probatorio, e comunque sicuramente non riconducibile ai rigidi canoni del caso fortuito come sostenuto in ricorso, la circostanza - dichiarata dallo stesso - in sede di autodenuncia - che l’arma, riposta nella sua autovettura, sarebbe stata sbalzata fuori di essa attraverso uno strappo del telone di copertura durante la percorrenza di una strada di campagna».
C’è poi l’aspetto legato al deferimento all’autorità giudiziaria. «È dunque certo che l’omessa diligente custodia del fucile si sia tradotta nel suo smarrimento e, dunque, nella sua definitiva sottrazione al controllo del titolare - scrivono ancora -, rendendo così l’arma, almeno astrattamente, rinvenibile a opera di terzi e utilizzabile per la commissione di reati, con conseguenti gravi riflessi per la sicurezza e l’ordine pubblico».
Nelle motivazioni si rimarca il fatto che «secondo un condivisibile e consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini del divieto di detenzione delle armi non occorre un oggettivo e accertato abuso delle stesse, essendo sufficiente che il soggetto abbia dato prova di non essere del tutto affidabile quanto al loro uso, anche per non aver posto in essere le necessarie cautele per la loro custodia; in tal caso il provvedimento inibitorio non richiede una particolare motivazione, in relazione alle funzioni discrezionali commesse dalla legge alla pubblica amministrazione, se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuale non siano irrazionali o arbitrarie”».
Pertanto il ricorso del cacciatore che aveva perso l’arma è stato respinto. Insomma: per lo smarrimento di un’arma pare non ci siano scusanti e la custodia deve essere diligente.
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