Quali sono i limiti del diritto di satira e quando diventa diffamazione

Francesca Nunziati

16/09/2022

La satira è una forma di comunicazione, dalle origini molto antiche, che mira alla critica del malcostume della politica e della società. Vediamo come è disciplinata e quali sono i suoi limiti.

Quali sono i limiti del diritto di satira e quando diventa diffamazione

Il diritto di satira, è previsto e tutelato dalla nostra Costituzione, all’articolo 21 secondo il quale:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria.

Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.

In sostanza la satira è quello che si realizza in una forma artistica che vuole suscitare l’ironia del destinatario, spingendosi sino al sarcasmo e alla irrisione. Questo significa che, grazie alla satira, è concesso veicolare anche notizie non vere, poiché, se scopo della satira è proprio quello di far ridere, essa non deve necessariamente corrispondere a verità.

Nella satira, quindi, viene lasciato ampio spazio alla fantasia, quasi che questa non abbia limiti. Qualche limite però dovrebbe essere ricavato dal buonsenso, specialmente se non si vuole rischiare di trovarsi in mezzo a un processo penale per diffamazione.

Vediamo insieme le differenze tra satira e diffamazione.

Cosa è la satira

Il diritto di satira non è contemplato nell’ordinamento italiano, che invece prevede e tutela il diritto di cronaca e di critica. La giurisprudenza italiana, invece, ha riconosciuto tale diritto, pur non garantito dalla Carta Costituzionale e da nessuna legge, assimilandolo all’ilarità.

Per intenderci, la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica e può realizzarsi anche mediante l’immagine artistica, come nel caso di vignette o caricature, consistenti nella consapevole e accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali delle persone raffigurate.

Si differenzia dalla cronaca per essere sottratta al parametro della verità in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio ironico su un fatto, rimanendo assoggettata al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo perseguito.

Nella formulazione del giudizio critico possono quindi utilizzarsi espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira, e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato. Questo in virtù della sentenza di Cassazione civ. Sez. III, 11/10/2013, n. 23144.

Il fondamento del diritto di satira è individuabile nella sua natura di libera creazione, nella sua dimensione relazionale, ossia, come dice la Cassazione, «di messaggio sociale, nella sua funzione di controllo esercitato con l’ironia e il sarcasmo nei confronti dei poteri di qualunque natura».

I limiti del diritto di satira

I limiti al diritto di satira sono connessi alla tutela dei diritti fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 Costituzione, consistenti nel rispetto dell’onore e della reputazione. In altre parole, i limiti del diritto di satira, riguardano l’autore e la scelta di ridicolizzare personaggi noti che egli non potrà descrivere in senso peggiorativo e lesivo del loro onore e reputazione.

L’autore, dunque, potrà invocare l’esercizio del proprio diritto di creazione artistica solo se la sua libertà artistica non si traduca in una gratuita denigrazione del prossimo e conseguentemente nella lesione dell’altrui dignità.

In caso contrario, nella ridicolizzazione, nel disprezzo degli altri, e, in definitiva, nella mortificazione dell’altrui dignità e reputazione, l’agente non può invocare il proprio diritto di libertà sancito dall’art. 33 Cost., il cui esercizio, in tale ipotesi, si rivela arbitrario e illecito ai sensi dell’art. 595 c.p. (Trib. Roma, 5 luglio 2001).

La satira, infatti, può essere qualificata come la forma più estrema del diritto di critica e in determinate ipotesi può essere considerata come una scriminante se giudicata quale forma d’arte.

Satira e cronaca

La peculiarità della satira, è quella di esprimersi attraverso il paradosso e la metafora surreale, tali da sottrarla al parametro della verità. In questo senso si differenzia rispetto alla cronaca che trova fondamento nell’articolo 21 della nostra Costituzione, in quanto libera manifestazione del pensiero, ma che si contraddistingue rispetto alle varie forme di espressione, principalmente per due ragioni:

  • si manifesta attraverso la narrazione di fatti;
  • si rivolge alla collettività indiscriminata.

Essendo la cronaca narrazione di fatti rivolta alla collettività, se ne deduce che la sua funzione è quella di informare, in maniera quanto più possibile veritiera e adiacente alla realtà.

A differenza della cronaca che, avendo la finalità di fornire informazioni su fatti e persone, è soggetta al vaglio del riscontro storico, la satira assume i connotati dell’inverosimiglianza e dell’iperbole. La satira, in sostanza, si configura come riproduzione ironica e non cronaca di un determinato fatto; essa consente di esprimere un giudizio che necessariamente assume connotazioni soggettive e opinabili, e si sottrae quindi a una dimostrazione di veridicità.

Al linguaggio, essenzialmente simbolico e frequentemente svincolato da forme convenzionali, non si può applicare quindi il metro della correttezza dell’espressione.

Diritto di satira e diffamazione

Seppure, per definizione, incompatibile con il parametro della verità, la satira è, però, soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni adoperate rispetto allo scopo di denuncia sociale perseguito.

L’utilizzo di espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui deve essere sempre e comunque, quindi, strumentalmente collegato alla manifestazione di un dissenso ragionato dal soggetto o dal fatto preso di mira e non deve risolversi in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione.

Si è quindi arrivati a riconoscere, sia nella giurisprudenza penale che in quella civile di legittimità, che la satira, così come ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non può essere riconosciuta la scriminante prevista dall’articolo 51 del codice penale (Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, per gli accostamenti volgari o ripugnanti, per la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica.

Per completezza, si segnala che l’evento lesivo della reputazione altrui attraverso la satira, tale da configurare il reato di diffamazione, può realizzarsi, oltre che per il contenuto oggettivamente offensivo della frase autonomamente considerata, anche per il contesto in cui viene pronunciata, in quanto determina un mutamento del significato apparente della frase, diversamente non diffamatoria, dandole quanto meno un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio come offensivo della dignità e della reputazione altrui.

In conclusione, pur riconoscendo la nostra Costituzione grande libertà di espressione a chi è deputato all’informazione, questi dovrebbero sempre essere mossi dal buonsenso. La satira può, a certe condizioni, offendere legittimamente la reputazione adoperando parole aspre e pungenti.

Il Giudice, secondo la Suprema Corte, deve compiere un bilanciamento tra l’interesse individuale alla reputazione e quello alla libera manifestazione del pensiero. Vi deve essere un interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di satira, ma del giudizio sullo stesso.

Deve sussistere, inoltre, la correttezza formale dell’esposizione. La rilevanza di questo carattere è diverso a seconda del contesto in cui si dispiega la satira. Si pensi alla satira politica, sindacale, storica o professionale. In presenza di tali condizioni opera la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di satira.

La recente sentenza del Tribunale di Roma

Il Tribunale di Roma, con una Sentenza del 13 gennaio 2020 traccia i confini tra diffamazione e satira. Il Tribunale analizza il rapporto tra satira e tutela della reputazione, verificando quando la satira diventa diffamazione.

Nel corso di una trasmissione satirica, era stato veicolato un “fuorionda”, non perfettamente comprensibile e appositamente sottotitolato, nell’ambito della cui sottotitolazione erano stati plausibilmente commessi degli errori, veicolando, in questo modo, un messaggio errato: all’autore delle affermazioni sottotitolate, in altri termini, veniva attribuito un “messaggio” non corrispondente al vero.

Il Tribunale ha, dapprima, fatto riferimento all’orientamento di legittimità ormai consolidato in materia di diritto di satira, secondo il quale:

la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato, non potendo invece, essere riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p. nei casi di attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica (Cass. civ. 21235/2013).

E dunque, ispirandosi a tali principi consolidati, ha ritenuto che:

dal momento che la satira si esplica mediante il ricorso al paradosso e alla metafora surreale, alla stessa non si estende il principale limite individuato dalla giurisprudenza ai fini dell’esplicazione dell’efficacia scriminante dei diritti di cronaca e critica, ossia quello della verità.

Viene, tuttavia, rilevato che:

Per la sua natura di giudizio soggettivo e opinabile la satira è sottratta al parametro della verità, ma soltanto i fatti espressi in modo apertamente difforme dalla realtà sono privi di capacità offensiva, mentre la riproduzione apparentemente attendibile di un fatto di cronaca deve essere valutata secondo il criterio della continenza delle espressioni e immagini utilizzate.

Non può, pertanto, essere riconosciuta la scriminante dell’esercizio del diritto di critica per le attribuzioni di condotte illecite e riprovevoli o moralmente disonorevoli, per gli accostamenti volgari e ripugnanti, per la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio, perché anche per la satira, la libertà di manifestazione del pensiero non può infrangere il rispetto di diritti fondamentali della persona (Cass. 23314/2007).

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