I figli hanno numerosi diritti nei confronti dei genitori, ma non possono affidarsi a loro per sempre. A un certo punto, devono essere autonomi e indipendenti. Ecco quando devono andare via di casa.
È indiscusso il dovere dei genitori di provvedere ai bisogni dei loro figli finché questi ultimi non raggiungono l’indipendenza economica o, quanto meno, la potenziale autonomia. Questo significa che i genitori devono mantenere i figli minorenni, quelli che hanno gravi handicap, ma anche quelli maggiorenni fino a certe condizioni. Un obbligo che implica anche la coabitazione, obbligatoria almeno fino al raggiungimento della maggiore età.
La maggior parte dei genitori teme il distacco dai propri figli ed è ben felice di rimandare questo momento, almeno finché i figli non approfittano di questa indulgenza per non impegnarsi nello studio e nel lavoro. Un comportamento che, oltre a essere molto scorretto nei confronti dei genitori, impedisce loro una sana crescita professionale e di maturare.
Un caso simile è stato recentemente analizzato dal tribunale di Torino, che ha perfino ordinato al figlio di una coppia di lasciare l’immobile “occupato senza titolo”. Il ricorso è stato promosso dal padre, nel tentativo di lanciare “un messaggio educativo sofferto”, riprendendo le parole dell’avvocato Federica Viotto, che ha rappresentato la parte. Questa sentenza non fa altro che confermare l’orientamento già consolidato dalla Cassazione, a un certo punto i figli devono lasciare il nido, autonomi o meno.
Quando i figli devono andare via di casa
Come anticipato, i genitori non sono tenuti a mantenere i figli in eterno, nonostante l’obbligo non decada in automatico al compimento dei 18 anni. In particolare, termina il dovere di mantenimento quando i figli raggiungono la capacità di rendersi indipendenti economicamente, ma anche quando la mancanza di autonomia è dovuta alla loro negligenza e allo scarso impegno.
La legge non stabilisce un’età, dato che la questione dipende da numerose variabili, ma la giurisprudenza considera determinante la soglia dei 30 anni. La Corte di Cassazione ha già ribadito numerose volte, di cui l’ultima con un’ordinanza del 10 aprile 2024 (la n. 9609 nel dettaglio), che dopo il compimento dei 30 anni si presume che l’incapacità economica sia dovuta a una colpa del figlio.
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Si considera infatti che, mano a mano che l’età avanza bisogna essere disponibili ad ampliare la ricerca di lavoro, non solo mettendoci più impegno ma anche accettando occupazioni non in linea con le proprie aspettative professionali. Insomma, i figli hanno tutto il diritto di realizzare le proprie ambizioni e i genitori devono sostenere questo percorso ma soltanto fino a un certo punto.
A 30 anni, salvo casi particolari e problemi di salute a parte, gli individui sono più che adulti e dovrebbero avere da tempo terminato il percorso di studi o nel frattempo acquisito esperienza o competenze nel lavoro. Il tanto che basta per trovare un’occupazione e iniziare a essere indipendenti, decidendo poi liberamente se continuare a inseguire una diversa ambizione ma a proprie spese. Non sarebbe comunque giustificabile, giuridicamente parlando, la mancanza di un percorso formativo o professionale minimo, anche perché il diritto al mantenimento sarebbe finito molto prima.
Per un curioso caso, anche il figlio portato in giudizio ha 30 anni e la rigorosità dei giudici non fa altro che confermare che dopo questa età o si ha l’autonomia o la si deve cercare. Per quanto ci possano essere delle difficoltà nella ricerca del lavoro o di ottenere una retribuzione dignitosa, non è sui genitori che si può far ricadere l’onere.
Terminando l’obbligo di mantenimento (in automatico, a meno che ci sia un obbligo di pagamento stabilito dal giudice che richiede nuova sentenza di revisione) il figlio non ha effettivamente alcun titolo per vivere in casa dei genitori, a meno che non sia comproprietario o cointestatario del contratto d’affitto. A qualsiasi età, se cessa il mantenimento il figlio se ne deve andare dalla casa dei genitori, a meno che questi ultimi siano favorevoli a prolungare l’ospitalità.
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