Le aziende lanciano l’allarme: la crisi del Mar Rosso sta facendo aumentare i costi di trasporto e può spingere in alto anche i prezzi finali per i consumatori. Quali imprese sono più a rischio?
Con la crisi del Mar Rosso che mette in difficoltà le spedizioni di qualsiasi cosa, dalle automobili all’energia, è solo questione di tempo prima che l’impennata dei costi e le tensioni nella catena di approvvigionamento si manifestino nei rapporti sugli utili delle aziende. E nelle tasche dei consumatori, che rischiano di dover sostenere - di nuovo - un aumento dei prezzi, almeno per un periodo temporaneo.
Con l’escalation in questo lembo di mare che non accenna a placarsi, la minaccia di una scossa potente al sistema commerciale mondiale è realistico. Non a caso, diverse aziende importanti a livello globale stanno già avvertendo dell’impatto.
Il produttore di veicoli elettrici Tesla prevede un’interruzione della produzione di due settimane in uno stabilimento tedesco a causa di ritardi nelle spedizioni, mentre la svedese Volvocar ha annunciato uno stop di tre giorni nella sua fabbrica belga. I rivenditori britannici Tesco, Marks & Spencer e Next hanno tutti segnalato il rischio di prezzi più alti per i consumatori.
L’attenzione su cosa sta accadendo e su come potrebbe evolversi l’esplosiva situazione e nel mar Rosso è altissima. L’Europa stessa trema dinanzi a potenziali shock energetici e sull’inflazione.
Aziende in crisi con il Mar Rosso? Queste lanciano l’allarme prezzi
Almeno 2.300 navi stanno facendo lunghe deviazioni per evitare gli attacchi dei militanti Houthi nel Mar Rosso, che normalmente gestisce oltre il 12% del commercio marittimo globale.
I banchieri centrali avvertono di un’impennata dell’inflazione che potrebbe ostacolare i tagli dei tassi di interesse. Per molte aziende, soprattutto in Europa, ciò comporta un aumento dei tempi di transito, un balzo delle spese di trasporto e un rialzo dei costi assicurativi. Gli analisti stanno quindi riconsiderando le stime sugli utili delle aziende per il prossimo anno.
Il terremoto è quindi in corso. Secondo le stime di Bloomberg Intelligence, gli attuali costi di spedizione dei container, se sostenuti, potrebbero aumentare l’inflazione complessiva nel Regno Unito e nell’area dell’euro tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025.
Next, che acquista la maggior parte dei suoi prodotti di moda e per la casa dall’Asia, ha già avvisato di possibili sconvolgimenti nel consueto commercio.
Primark, di proprietà di Associated British Foods Plc, e Hennes & Mauritz AB sono altamente esposte ai volumi di trasporto marittimo, secondo l’analista di RBC Capital Markets Richard Chamberlain, mentre Inditex SA, proprietaria di Zara, si rifornisce principalmente dai Paesi vicini. Allo stesso modo il rivenditore francese di mobili Maisons du Monde SA è altamente vulnerabile, poiché acquista il 75% delle sue merci dall’Asia e trasporta il 90% via mare.
Un’interruzione prolungata coinvolgerà anche marchi celebri e diffusi in tutto il mondo come Nike, Adidas e Capri Holdings. Cosa faranno le imprese costrette a sopportare costi più elevati? Questa è la domanda di analisti, ma anche dei consumatori. Il dubbio è tra assorbire i costi diminuendo i margini di profitto o trasferirli sui prezzi finali, quelli di chi acquista in negozio.
Quanto può aumentare l’inflazione in Europa
Una simulazione degli esperti Ispi, basata su un paper del Fmi che riguarda l’impatto dell’aumento dei costi di trasporto marittimi, ha evidenziato quanto rischia l’Europa sul fronte inflazione. Il grafico è eloquente:
Il vecchio continente è minacciato più del resto del mondo e ik motivo lo ha spiegato in modo semplice l’analisi Ispi:
la crisi è più regionale che globale, perché l’Europa e una parte di Medio Oriente dipendono di più dai traffici di merci dal Mar Rosso rispetto, per esempio, agli Stati Uniti e all’America Latina. Utilizzando gli attuali aumenti dei costi di trasporto (+350% per consegnare in Europa, +95% per consegnare negli Stati Uniti), ma anche la capacità delle istituzioni europee di rispondere meglio a rincari dei prezzi grazie alla loro politica monetaria rispetto ad altri paesi del mondo, troviamo che uno shock di portata simile all’attuale si trasferisce sui prezzi finali al consumo in Europa facendoli crescere dell’1,8% entro 12 mesi
La situazione è in divenire, ma lo scenario dei prezzi si fa cupo per l’Europa.
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