Regime speciale per le Forze dell’Ordine: i possibili reati con l’uso della coazione fisica e delle armi non saranno indagati dalla magistratura. Ecco la proposta della Lega.
Nell’ultimo periodo la Lega si sta spesso occupando di questioni riguardanti la sicurezza e la difesa, coinvolgendo Forze Armate e di Polizia. L’ultima proposta riguarda l’introduzione di una sorta di regime speciale per le forze dell’ordine, che tuteli il personale dall’accertamento di reato da parte dei pubblici ministeri. Comprensibilmente, la questione sta facendo molto discutere, perché il rischio di lasciare impunite le violazioni esiste e non può essere ignorato. Sono state sollevate anche questioni di legittimità, visto che se questa iniziativa andrà in porto le forze dell’ordine godranno di un notevole beneficio rispetto a tutti gli altri cittadini. D’altra parte, è altrettanto vero che il personale della polizia e di altre forze dell’ordine già ricopre di per sé un ruolo peculiare, una professione comunque sacrificante e che necessita quindi di misure dedicate.
L’obiettivo dell’emendamento, presentato da Igor Iezzi e Laura Ravetto, che lo hanno presentato in Commissione Giustizia, è infatti quello di rimuovere possibili ostacoli allo svolgimento del lavoro di controllo e repressione dei reati, considerando che la paura di essere indagati e ricevere provvedimenti (anche) disciplinari può impedire agli agenti di agire nel meglio delle possibilità. Non si crea certo un dibattito semplice, scontrandosi l’incontrovertibile diritto del personale di lavorare in modo sereno ed efficiente, peraltro a vantaggio dell’intera collettività, contro l’uguaglianza dei cittadini. Oltretutto, un’eccessiva limitazione del controllo rischia di lasciare impuniti abusi e violazioni, poiché anche nelle forze dell’ordine c’è chi non agisce nel rispetto della legge e mettere un freno a questi comportamenti è fondamentale proprio per tutti i colleghi che invece lavorano nella legalità e con grande dedizione.
La proposta della Lega, per l’uso della forza le forze dell’ordine non sono indagate dai Pm
L’emendamento proposto dai deputati leghisti al disegno di legge “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” propone una modifica al Codice di procedura penale. In particolare, si tratterebbe dell’aggiunta dell’articolo 335 bis dedicato in modo specifico ai “Fatti commessi in servizio da agenti o ufficiali di pubblica sicurezza, agenti o ufficiali di polizia giudiziaria o da militari relativi all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica”.
In questi casi, il pubblico ministero appena ricevuto notizia del fatto avrebbe l’obbligo di informare tempestivamente il procuratore generale presso la Corte d’Appello. Nel frattempo, il magistrato potrebbe procedere esclusivamente in caso di urgenza relativa alle prove di reato. Il secondo passaggio prevede che il procuratore informi, altrettanto rapidamente, il comando del corpo o il capo dell’ufficio, così che possa dare la notizia sia ai soggetti indagati che all’Avvocatura dello Stato.
Quest’ultima prenderebbe poi in mano il caso, occupandosi degli accertamenti sulla legittimità delle azioni contestate agli indagati e verificando il rispetto dei protocolli riguardanti l’uso della forza. L’Avvocatura potrà avvalersi di consulenze tecniche per completare la verifica, al termine della quale dovrà aggiornare senza ritardo il procuratore generale con le sue conclusioni.
A questo punto, il procuratore generale - sulla base esclusiva di quanto concluso dall’Avvocatura dello Stato - può scegliere se esercitare l’azione penale rinviando gli indagati a giudizio oppure chiudere immediatamente il procedimento, senza alcuna verifica ulteriore.
I problemi della proposta
La proposta riguardante le indagini avverso l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine in servizio ha diverse problematiche dal punto di vista giuridico. Il dubbio più importante riguarda lo spostamento dell’attività di indagine dalla Magistratura (alla quale compete come stabilito dalla Costituzione) all’Avvocatura dello Stato, la quale peraltro come parte della Pubblica amministrazione non risponde ai requisiti di imparzialità e terzietà che invece sono richiesti ai giudici.
Di fatto, un privilegio di questo tipo non esiste nel nostro ordinamento, nemmeno per i giudici stessi o per i parlamentari. Bisogna attendere la valutazione dell’emendamento, ma è evidente che le modalità definite sono piuttosto contestabili. Al di là dell’intento di questa proposta, che anzi appare largamente condivisibile, è proprio il metodo con cui si vuole attuare questa sorta di regime speciale a contrastare con i principi democratici costituzionalmente garantiti.
Contare sul fatto che gli agenti che commettono reati sono un’eccezione non è sufficiente, come nemmeno è sufficiente affidarsi alla professionalità dell’Avvocatura dello Stato, perché c’è una ripartizione di compiti e poteri che deve essere rispettata a garanzia dell’ordinamento stesso. Senza contare che - laddove remotamente venisse approvata - questa nuova modalità finirebbe per svantaggiare proprio quella maggioranza delle forze dell’ordine che lavora onestamente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA