Regionalismo differenziato: un modo per recuperare risorse da parte di regioni più ricche?

Eva Boccasile

07/01/2019

L’impatto del regionalismo differenziato: solo un metodo per recuperare risorse da parte delle regioni più ricche?

Regionalismo differenziato: un modo per recuperare risorse da parte di regioni più ricche?

Il paradosso come svolgimento del processo storico italiano: un Risorgimento come evento fondativo che nasce repubblicano e diventa monarchico, da disegno confederale si trasforma in Stato centralizzato per arrivare oggi alla fase del cosiddetto regionalismo differenziato o, che dir si voglia, di federalismo asimmetrico, che rappresenta un rischio di rottura dell’unità nazionale.

Nemesi storica di un’unità imposta dalla dinastia sabauda che saldò l’alleanza della borghesia industriale del Nord con i residui feudali del Sud e che oggi forse presenta il conto? Eterogenesi dei fini della Storia?

Il regionalismo differenziato: l’importanza del tema

Resta il dato di realtà di un regionalismo differenziato che impatta su un contesto meridionale che fu definito da Gramsci come “una grande disgregazione sociale” e che sembra attualissimo se solo si pensa all’attuale saldatura tra la crisi del 2008 (mutui subprime/crollo Lehman Brorhers/crisi debiti sovrani per salvataggio sistema bancario) con i vincoli comunitari.

Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, in applicazione dell’art. 116, comma 3, Cost. che così dispone: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere, a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata».

Rispetto a cosa «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia...»?. Rispetto alle competenze delle Regioni ordinarie elencate nei commi 3 e 4 dell’art 117 della Costituzione. Quindi in più rispetto alle «altre» Regioni ordinarie potranno avere, perché concesso dalla legge rinforzata dello Stato, menzionata nello stesso art. 116, co. 3, Cost., «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia».

Il riferimento è alle «materie di cui al terzo comma dell’articolo 117», senza effettuare alcuna distinzione al riguardo e cioè indicando tutte le materie di potestà legislativa concorrente. Allora, considerato che questa potestà legislativa è già delle Regioni ordinarie, quello che vogliono è la “determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato“.

Questo vogliono o la riduzione dell’ampiezza dell’ingerenza dello Stato. Inoltre, l’art. 116, co. 3, Cost., indica solo alcune delle materie di cui all’art. 117, co. 2, Cost., nelle quali, di per sé, lo “Stato ha legislazione esclusiva”.

Questa richiesta nasce dal referendum della Lega in Veneto e Lombardia e, incredibilmente il governo Gentiloni, in “articulo mortis”, firma un accordo preliminare con le due Regioni.

Accordo che riguarda rapporti internazionali e con l’Unione europea, politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, istruzione, salute. Istruzione: le regioni programmeranno l’offerta di istruzione regionale, la disciplina dell’istruzione e della formazione professionale, lo sviluppo delle relazioni fra autonomie scolastiche, universitarie e imprese, il raccordo tra istruzione tecnica e formazione universitaria, la programmazione dell’offerta integrativa di percorsi universitari, la costituzione di un fondo per la didattica, l’edilizia scolastica e interventi anti-sismici.

Le tre regioni hanno concordato con Gentiloni che i modi per attribuire le risorse necessarie all’esercizio delle competenze trasferite saranno decise da una commissione paritetica Stato/Regione. La questione delle risorse è fondamentale.

Maroni durante la campagna elettorale ha sostenuto che la finalità è quella di trattenere la metà del residuo fiscale della Lombardia stimato in 50 miliardi di euro. Se questo è il fine allora questo regionalismo differenziato è solo un modo per recuperare risorse da parte delle regioni più ricche.

Addirittura il Veneto vuole trattenere il 90%. Il Veneto chiede che le risorse siano calcolate “tenendo conto non solo dei bisogni specifici della popolazione e dei territori (quanti bambini da istruire, quanti disabili da assistere, quante frane da mettere i sicurezza) ma anche del gettito fiscale e cioè della ricchezza dei cittadini. In pratica i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) saranno come beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti. Quindi, per averne tanti e di qualità, non basta essere cittadini italiani, ma cittadini italiani che abitano in una regione ricca”.

Questi risultati si intendono raggiungerli in assenza di definizione dei LEP (Livelli Essenziali di prestazioni sociali e civili) che devono essere garantiti a tutti i cittadini in misura omogenea. Sono trascorsi 17 anni senza che alcuno abbia fissato il livello dei LEP quale parametro per tutti i cittadini, “mentre in pochi mesi si sia arrivati alle battute consultive del processo di autonomia differenziata, a vantaggio di pochi”.

Tutto questo in palese difformità dei Principi di uguaglianza scritti in Costituzione. L’assurdo è che su questo tema, di fondamentale importanza e su cui è indispensabile una approfondita discussione culturale e politica, si registra il più totale silenzio dei politici meridionali, dei media, da ciò che residua dei maitrè a pensar. La base finanziaria di riferimento per il finanziamento è il residuo fiscale regionale del quale parlerò in un successivo articolo.

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