I coniugi possono vivere separatamente senza violare i doveri familiari: la residenza disgiunta, infatti, non equivale automaticamente alla violazione dell’obbligo di coabitazione.
La residenza disgiunta, qualora sussistano determinate condizioni, non contrasta automaticamente con i doveri familiari.
Se marito e moglie decidono - di comune accordo - di vivere separatamente per motivi di lavoro, infatti, non violano l’obbligo di coabitazione previsto dal nostro ordinamento.
Anche dopo le nozze, quindi, i coniugi possono mantenere la residenza disgiunta vivendo separatamente per determinati periodi dell’anno senza violare l’obbligo di coabitazione previsto dopo il matrimonio. Non sempre però è così; ci sono dei casi, infatti, in cui il fatto di vivere separati potrebbe far scattare una pronuncia di addebito della separazione da parte del giudice.
In quali casi quindi avere la residenza disgiunta comporta la violazione dell’obbligo di coabitazione che di conseguenza potrebbe dar luogo alla pronuncia di addebito delle separazione? Facciamo chiarezza su quando la residenza disgiunta tra coniugi è consentita partendo dall’analizzare il significato dell’obbligo di coabitazione che scatta dopo il matrimonio.
Quando la residenza disgiunta non viola l’obbligo di coabitazione
L’obbligo di coabitazione stabilisce che dopo le nozze i coniugi devono impegnarsi a convivere in maniera costante e continuata presso la residenza familiare.
Ciò però non significa che i coniugi non possano avere la residenza in due abitazioni differenti: per motivi personali o professionali, infatti, è consentito l’allontanamento dalla casa coniugale purché questa decisione sia temporanea e concordata.
Quindi si ha violazione dell’obbligo di coabitazione quando uno dei coniugi decide unilateralmente di abbandonare la casa coniugale spostando la propria residenza, oppure quando i due non raggiungono un accordo in merito alla residenza familiare scegliendo vivere in due indirizzi separati.
Nel dettaglio, si ha un mancato accordo sulla residenza familiare quando per motivi lavorativi o di salute uno dei coniugi vorrebbe trasferirsi ma l’altro si oppone a questa decisione. In tal caso entrambi possono chiedere la separazione con addebito ai danni dell’altro e spetterà al giudice valutare se la richiesta di una parte - oppure il dissenso dell’altra - a trasferirsi sia giustificabile oppure no.
Qualora mantenere la residenza disgiunta sia una decisione concordata allora non scatta alcuna violazione dei doveri matrimoniali. Come anticipato, infatti, la legge consente di vivere separatamente dal momento che - per i motivi suddetti - la presenza di due residenze anagrafiche non implica automaticamente la violazione dell’obbligo di coabitazione.
Residenza disgiunta: quali effetti sulle tasse?
Come già detto in precedenza uno dei motivi che solitamente si celano dietro alla decisione di avere due residenze separate è di tipo professionale; può accadere, infatti, che uno dei due coniugi abbia un lavoro a diversi chilometri di distanza dalla residenza coniugale e di conseguenza per evitare continui spostamenti decida di comprare o affittare un’abitazione vicina alla sede lavorativa, trasferendosi qui per la maggior parte della settimana.
In tal caso la legge va incontro ai coniugi riconoscendo alcune agevolazioni dal punto di vista fiscale.
Come noto, infatti, l’Imu e la Tasi non si pagano per le abitazioni principali ma solamente per la seconda, terza (e così via) casa.
A tal proposito ci si chiede cosa succede nel caso in cui i coniugi per motivi personali o professionali si trovino a vivere in due abitazioni separate: entrambe si considerano come prima casa, oppure una si definisce come seconda casa e quindi è soggetta al pagamento delle suddette imposte?
Ciò dipende dal Comune in cui si trovano i due immobili. Qualora i coniugi abbiano residenza in due Comuni differenti, infatti, si presume che uno dei due coniugi sia stato costretto a trasferirsi in un’altra città per motivi lavorativi; per questo motivo è possibile che entrambe le abitazioni vengano riconosciute come principali e quindi non soggette al pagamento di Imu e Tasi.
È comunque competenza dell’anagrafe del Comune di riferimento la verifica dello stato di fatto: questo, infatti, ha il dovere di accertare che il soggetto dimori effettivamente presso l’indirizzo indicato, così da scongiurare l’ipotesi di un cambio di residenza per approfittare dei vantaggi fiscali.
Per lo stesso motivo qualora i coniugi abbiano la residenza disgiunta ma nello stesso Comune solo una delle due abitazioni viene considerata come principale, mentre l’altra è - con tutte le conseguenze che ne derivano - a tutti gli effetti una seconda casa.
In questo caso, infatti, il cambio di residenza si presume come immotivato, dal momento che l’unica ragione per cui i coniugi potrebbero aver iscritto due residenze differenti ma nello stesso Comune è di tipo fiscale. Ed è proprio per evitare qualsiasi elusione, incentivando così i cambi di residenza fittizi, che sulla seconda abitazione che si trova nella stessa città della prima si paga regolarmente sia la Tasi che l’Imu.
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