Dopo le riunioni di dicembre, la certezza di Fed e Bce è che i tassi di interesse, a livelli record, continueranno a salire. Cosa significa per l’Italia e la sua economia?
I tassi di interesse, al 2,5% in Eurozona, saliranno ancora per frenare l’inflazione: cosa accadrà all’economia e ai conti pubblici dell’Italia con questo trend?
Le riunioni di dicembre di Bce e Fed hanno allentato l’entità degli aumenti, con rialzi da 50 punti base invece dei precedenti 75, ma con un avvertimento a mercati e politici: la stretta monetaria non è finita e proseguirà nel 2023.
I toni aggressivi, soprattutto di Lagarde, non erano davvero attesi e ora si stanno intensificando le discussioni su cosa accadrà all’economia mondiale e, in modo più ristretto europea e italiana con altri rialzi dei tassi anche l’anno prossimo. Quando, in aggiunta, si avvierà anche la riduzione di bilancio e la fine graduale degli acquisti di debito da parte dell’Eurotower, con una ulteriore mossa di inasprimento.
La presidente della Banca centrale europea ha avvertito che una lieve e breve recessione è possibile, ma che non sarebbe di per sé sufficiente ad arginare l’impennata dei prezzi.
Cosa può accadere, quindi, in Italia e quali stime sulla sua economia in un contesto di costi di finanziamento ancora in aumento? Alcune considerazioni.
Recessione nel 2023: Pil Italia a rischio
L’Italia ha sorpreso negli ultimi dati Istat sul Pil: nel terzo trimestre è cresciuta dello 0,5% su base trimestrale e del 2,6% a livello annuale, registrando un Prodotto interno lordo acquisito per l’anno del 3,9%. La percentuale è maggiore del 3,3% previsto nella Nadef.
Il nostro Paese beneficia soprattutto di una ripresa del comparto servizi e di una domanda interna in buona performance, anche rispetto alle restrizioni Covid ancora presenti l’anno scorso. Tuttavia, la crescita nel 2023 dovrebbe essere molto meno marcata, con un +0,4% secondo l’Istat.
Cosa aspettarsi nel 2023, alla luce anche del rialzo dei tassi di interesse in corso? Le prospettive non sono buone per il nostro Paese. Maggiore costo del denaro significa che bisogna pagare più interessi su un prestito, sia a livello familiare, sia per le aziende che vogliono investire. Tradotto: si spende meno e si investe poco, in un contesto reso già molto incerto dalla crisi energetica che sta colpendo molto le persone e le imprese con il caro bolletta.
Il rischio per l’Italia con tassi di interesse sempre più alti è, quindi, di vedere diminuire consumi e produzione, con un rallentamento del Pil. Non a caso proprio nella giornata del 2 novembre l’agenzia di rating Moody’s ha previsto una crescita pari allo 0% nel nostro Paese l’anno prossimo, con conseguenze negative sulle banche nazionali (l’affidabilità dei prestiti diminuisce).
Il Fmi ha messo in guardia il mondo, sull’orlo della recessione, ma anche l’Italia: nel 2023 ha previsto un -0,2% di crescita nazionale. Fitch ha stimato un -0,1% per il Belpaese il prossimo anno.
Tassi più alti, quindi denaro più costoso, si aggiunge all’incertezza sui prezzi di gas ed elettricità e alimenta le stime di redditi con minore capacità di spesa e produzione rallentata in Italia.
Mutui sempre più alti
Tra gli effetti degli aumenti dei tassi di interesse c’è l’aumento del costo della rata mensile del mutuo.
Pur non essendo diretta, questa relazione non è affatto trascurabile e il ragionamento, che abbiamo già spiegato, è il seguente: l’Euribor, dal quale si calcola il tasso di interesse di un mutuo variabile, è collegato alla politica monetaria Bce, nel senso che aumenta con un rialzo dei tassi della banca centrale. La banca centrale interviene incrementando il suo tasso di riferimento e questo fa crescere anche il valore che le banche europee devono pagare quando prendono del denaro in prestito dalla Bce. Di conseguenza, le banche aumenteranno anche il costo per cittadini e imprese che chiedono prestiti e mutui.
Secondo Codacons, “dopo tutti gli incrementi imposti dalla Banca Centrale Europea negli ultimi mesi, la rata mensile di un mutuo a tasso variabile aumenta complessivamente tra i 120 e i 150 euro rispetto a quanto pagato lo scorso anno, con ripercussioni sulle famiglie comprese tra i +1.440 e +1.800 euro all’anno.”
Alcune stime indicano che con l’aumento di 50 punti base dei tassi di interesse Bce di dicembre, la rata mensile del variabile potrebbe subire un rialzo di circa 35 euro nei prossimi mesi, ovvero circa 180 euro in più di spesa rispetto a inizio 2022 (+39%).
Chiaramente, proseguendo la politica dei tassi di interesse elevati per fermare l’inflazione, le rate dei mutui possono ancora aumentare nel 2023. Con un forte rischio nella capacità di pagamento da parte delle famiglie, che stanno già assistendo all’erosione del reddito per il caro bollette.
Rendimenti Btp in focus: quanto costerà il debito?
Il 16 dicembre il Btp decennale rende il 4,35%, in evidente aumento. Il rendimento, lo ricordiamo, è ciò che lo Stato paga a chi compra il suo debito.
La politica monetaria aggressiva delle banche centrali generalmente provoca un innalzamento dei rendimenti delle obbligazioni, con la conseguente caduta del suo prezzo. Ora, l’impennata del rendimento Btp significa che il debito dello Stato costa di più.
L’Osservatorio dei Conti pubblici ha fatto uno studio al riguardo: con un aumento di 1 punto percentuale dei tassi di interesse sui titoli di Stato, persistente e uniforme lungo la curva per scadenze, la spesa per interessi può crescere di 3 miliardi nei successivi 12 mesi (e di 39,4 miliardi nei successivi 5 anni).
Inoltre, l’effetto combinato di tassi elevati della Bce anche in futuro, recessione alle porte, crisi energetica e riduzione degli acquisti di obbligazioni della banca centrale - come annunciato che accadrà da marzo 2023 - può favorire l’aumento dello spread Btp-Bund decennali. Qualsiasi passo incerto dell’Italia in questo contesto, come un ritardo nel Pnrr, potrebbe far piombare sul Paese un clima di sfiducia e far fuggire gli investitori.
Inflazione ancora elevata
La questione inflazione è assai complessa in Europa e, quindi, in Italia. Questo perché l’impennata dei prezzi è causata soprattutto dagli effetti della guerra in Ucraina, dalla mancanza del gas russo, dalla crisi energetica. Tutti fattori cosiddetti esterni, non controllabili direttamente dalla politica dei tassi di interesse della Bce (che tende a smorzare la domanda di beni e servizi).
La banca centrale europea, infatti, ha ripetuto che l’aumento dei tassi è necessario per freddare le aspettative di inflazione e che non avrà effetto nell’immediato. Le nuove proiezioni Bce raccontano di un’inflazione media all’8,4% nel 2022 e del 6,3% nel 2023.
Con prezzi al consumo in Italia all’11,8% a novembre, il nostro Paese sta vedendo solo un timido rallentamento della crescita dei prezzi. Se le scorte di gas non basteranno, specialmente nell’inverno 2023, i prezzi possono ancora salire, nonostante il rialzo dei tassi. Anzi, l’effetto a catena, con un’inflazione ancora elevata, può essere quello di una Bce ancora aggressiva per molto, stimolando la recessione.
Lagarde ha anche avvisato che gli stimoli degli Stati sul caro bollette e tutti gli aiuti fiscali possono generare a loro volta inflazione, perché stimolano la domanda. I Governi, quindi, dovranno ben modulare i sostegni solo ai più vulnerabili.
Attenzione all’euro debole sul dollaro
Da non trascurare, infine, il ruolo del tasso di cambio EUR/USD, anch’esso influenzato dalle dinamiche delle banche centrali.
Una Bce intenzionata ad aumentare ancora i tassi può spingere la moneta unica. Tuttavia, con un costo del denaro in crescita anche le stime sul rallentamento economico avanzano e questo danneggia l’euro sul dollaro. Gli Usa, infatti, non sono colpiti dalla crisi energetica come l’Eurozona, che invece è più coinvolta in tutte le vicende che girano intorno alla guerra in Ucraina e che possono danneggiarla economicamente.
In un anno, la coppia EUR/USD è passata da 1,15 a 0,97: ha perso il 15%.
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Cosa significa questa debolezza dell’euro per l’Italia? A livello commerciale, una valuta più debole favorisce le imprese che esportano, soprattutto in Paesi dove c’è il dollaro. Tra quelle quotate al Ftse Mib ci sono StMicroelectronics, Ferrari, Prysmian, Diasorin, Pirelli, Stellantis.
Tuttavia, le importazioni risultano più costose. Considerando che l’Italia compra sia gas che petrolio denominate in dollari (ora anche più Gnl dagli Usa), questo significa che le materie prime costano di più, alimentando anche la spirale dell’inflazione.
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