A Roma la conferenza sulla ricostruzione voluta da Meloni si è trasformata in un bilaterale con l’Ucraina: assente l’Ue, resta la certezza che questa guerra la ripagheremo noi.
La ricostruzione dell’Ucraina costerà tanto, tantissimo, con il pallottoliere dei costi destinato ancora ad andare avanti - a mo’ display di una pompa di benzina in funzione - visto che la fine della guerra non sembrerebbe essere purtroppo dietro l’angolo.
L’ultima stima della Banca mondiale datata inizio anno parla di un conto da 411 miliardi di dollari, ma i costi potrebbero essere molto maggiori tanto che diversi studi parlano di oltre 700 miliardi di dollari al momento necessari per rimettere in piedi l’Ucraina.
La prima domanda così sorge spontanea: chi pagherà per la ricostruzione dell’Ucraina? La risposta è altrettanto semplice: per buona parte noi cittadini europei, ca va sans dire. A riguardo sempre la Banca mondiale è stata molto chiara, con la Bm che farà la sua parte ma, visti i tanti soldi necessari, toccherà all’Europa farsi carico di buona parte della spesa.
In teoria può sembrare un controsenso parlare di ricostruzione mentre la guerra in Ucraina è ancora in corso, in più con un esito incerto visto che sul campo di battaglia i due eserciti si fronteggiano sostanzialmente alla pari nonostante la superiorità numerica e militare russa.
La guerra però non potrà andare avanti all’infinito e quando gli Stati Uniti decideranno che è giunta l’ora di dire basta - probabilmente nel 2024 prima delle elezioni presidenziali Usa, mentre Giorgia Meloni è stata meno ottimistica dando appuntamento a Volodymyr Zelensky al 2025 - Kiev non potrà fare altro che prenderne atto e acconsentire a un cessate il fuoco che prevederà l’addio ai territori ucraini in quel momento in mano alla Russia. Sedotti e abbandonati.
La torta della ricostruzione quando si arriverà al cessate il fuoco sarà ancora più ricca, con l’Italia che si vocifera abbia la speranza di poter ottenere il 10% degli appalti; allo scopo, Giorgia Meloni ha organizzato una conferenza a Roma che però, dopo la buca data da tutti i partner europei, si è trasformata in un bilaterale con l’Ucraina che ha sancito la nostra sostanziale irrilevanza sul piano internazionale.
Ricostruzione Ucraina: Meloni fa flop
Quando lo scorso febbraio in occasione della sua visita a Kiev Giorgia Meloni ha annunciato la volontà di dare vita ad aprile a una conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina da tenere a Roma, probabilmente la presidente del Consiglio si aspettava uno scenario ben diverso.
Al Palazzo dei Congressi infatti è andato in scena un molto più semplice bilaterale con l’Ucraina, alla presenza di 600 aziende italiane - in prima fila i colossi nostrani Eni, Enel e Leonardo - e 150 ucraine.
Nelle settimane precedenti nessun leader europeo o comunitario ha raccolto l’invito del nostro governo, a differenza di quanto è avvenuto mesi fa a Parigi e a quanto succederà a giugno a Londra. Da noi l’Ucraina si è presentata con il primo ministro Denys Shmyhal e il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, mentre Volodymyr Zelensky è intervenuto con un breve messaggio video.
A Roma sono stati firmati alcuni memorandum di intesa tra Italia e Ucraina in merito a una ricostruzione di cui, stando alle parole di Giorgia Meloni, il nostro Paese ne deve essere “protagonista”.
Il non essere riusciti a mobilitare stakeholder internazionali però fa la spia del sostanziale poco peso internazionale dell’Italia, con Germania, Francia e Regno Unito molto più avanti rispetto a noi nella partita della ricostruzione nonostante l’attivismo di Giorgia Meloni.
Il rischio così sarebbe quello di dover mettere mano al portafoglio per finanziare la rinascita dell’Ucraina senza che ci possano essere dei grandi benefici per le nostre imprese, ma prima ci sarà da far finire la guerra e questo al momento non appare essere un dettaglio da poco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA