È possibile chiedere (ma soprattutto ottenere) un risarcimento danni se lo stipendio del rinnovo di contratto è troppo basso? Quali profili aprirerebbero a un ricorso?
Proseguono i lavori per il rinnovo di contratto nel Pubblico impiego e il colloquio tra i sindacati e i tecnici sta portando alla luce diversi temi importanti. Con strategie e metodi diversi, i vari sindacati cercano di tutelare i diritti del personale dal punto di vista economico e da quello del benessere psico-fisico.
Un tema comune pressoché a tutte le associazioni sindacali, che non vede differenze tra i comparti, è quello degli importi stanziati per il rinnovo, del tutto inadeguati rispetto all’incremento del costo della vita dovuto all’inflazione. Non che ci si possano aspettare divergenze su questo, trattandosi di dati oggettivi e puntuali.
Non tutti intendono affrontare il problema allo stesso modo, nonostante concordino sostanzialmente sulla necessità di ottenere uno stanziamento di risorse più significativo. Proprio in questi giorni, però, sono emerse anche delle alternative e in particolare alcune sigle, per esempio per le Forze Armate, hanno paventato una possibile richiesta di risarcimento per i danni derivanti dalla perdita del potere d’acquisto.
La questione apre un dubbio non da poco: si può fare ricorso se l’aumento di stipendio nel rinnovo di contratto è troppo basso? Ai lavoratori vengono promessi risarcimenti da migliaia di euro, come a prevenire lo scontento e l’insoddisfazione in caso di un contratto poco svantaggioso. Le certezze in merito, tuttavia, sono ridotte all’osso.
Si può fare ricorso se l’aumento di stipendio nel rinnovo di contratto è troppo basso?
Nel nostro ordinamento è dovuto il risarcimento a chi subisce un danno a causa di un illecito altrui, che può essere doloso o colposo e violare il diritto amministrativo, quello civile o anche quello penale. In via generale, spetta il risarcimento danni a chi ha subito un pregiudizio ingiusto attribuibile alla responsabilità di un altro soggetto.
Il tema del danno ingiusto viene ripreso proprio dall’articolo 2043 del Codice civile, che tratta proprio del risarcimento danni da illecito. L’ingiustizia del danno può riguardare l’evento stesso, quindi l’azione che, se commessa, dà diritto al risarcimento. Questo principio si applica per esempio ai reati e alla loro lesione dei diritti delle vittime e di altri soggetti eventualmente interessati. La definizione di danno ingiusto può anche riguardare direttamente i beni lesi, ad esempio la lesione patrimoniale.
Per chiedere un risarcimento allo Stato bisognerebbe quindi presupporre la sua responsabilità in una condotta illecita, anche non volontaria, con nesso di causalità rispetto alle lesioni provocate. Trattandosi di un soggetto giuridico che non corrisponde ad alcuna persona fisica, l’azione illecita dovrà esser stata esercitata per mezzo dei tramiti, come la pubblica amministrazione.
Come azione illecita non è necessario pensare per forza ai reati, anzi la maggior parte dei risarcimenti viene chiesta come rimedio delle violazioni contrattuali, come un inadempimento o un notevole ritardo nel rispetto di una scadenza. In parole molto più semplici, lo Stato sarebbe tenuto a risarcire i lavoratori delle Forze Armate soltanto se colpevole della perdita d’acquisto oppure negligente rispetto a un suo dovere contrattuale.
Lo Stato non è obbligato a compensare integralmente l’inflazione e il conseguente caro vita nel rinnovo contrattuale, perciò è difficile ipotizzare una responsabilità in questo senso, tanto più nel caso in cui la presunta colpa non sia attribuibile a una volontà precisa. Dal punto di vista inflattivo, inoltre, riconoscere la responsabilità statale significherebbe un dovuto risarcimento a qualsiasi cittadino. Impraticabile, controproducente e in ogni caso privo di qualsiasi base giuridica.
In buona sostanza, non è possibile presentare un ricorso contro il rinnovo di contratto chiedendo un risarcimento per la perdita del potere d’acquisto. Più nello specifico, non è possibile ottenere tale risarcimento, anche qualora se ne avanzasse la richiesta. La giurisprudenza, infatti, si pronuncia a favore dei lavoratori - indipendentemente dal settore d’impiego - in caso di stipendi troppo bassi e ai fini di questa valutazione tiene conto anche del costo della vita.
La responsabilità di questo tipo ricade effettivamente sul datore di lavoro, chiamato ad aumentare i salari ed eventualmente rimborsare gli arretrati, ma non è mai stato detto che ciò debba avvenire sulla falsariga del dato inflattivo. Nel caso specifico delle proposte sindacali diffuse in questi giorni, inoltre, ciò che viene menzionato non è nemmeno il danno patrimoniale, bensì quello esistenziale. Una lesione sicuramente provocabile da un inadeguato tenore di vita, ma appare fumoso il nesso causale rispetto al rinnovo di contratto.
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