Il risarcimento è il ristoro previsto dalla legge per chi subisce un danno ingiusto. Vediamo cos’è, chi può richiederlo e quali danni possono essere risarciti.
L’azione del risarcimento danni è una procedura legale che obbliga il colpevole di un reato a risarcire la vittima, ma non solo. Si tratta, a tutti gli effetti, di un recupero per un danno subito, sia per un fatto doloso o colposo e sia per un inadempimento derivante da un contratto o da un obbligo. Difatti, il termine «risarcimento» può essere utilizzato in tante sfaccettature diverse e può riguardare gli ambiti più disparati, da quello sociale a quello lavorativo, per esempio.
Ecco tutto quello che c’è da sapere sul risarcimento dei danni, dalla normativa vigente fino alla differenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, passando per requisiti e casistiche tipo.
Cos’è il risarcimento danni nella responsabilità civile
Il risarcimento danni è la conseguenza prevista dall’ordinamento in caso di responsabilità civile, ossia l’insieme di norme che regola il risarcimento a favore di chi subisce un danno ingiusto o un danno derivante dall’inadempimento di un’obbligazione.
L’art. 2043 c.c. è il fulcro della disciplina in materia di responsabilità extracontrattuale, stabilendo che «qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». Questo principio si applica a una vasta gamma di situazioni, dai danni derivanti da comportamenti negligenti (colpa) ai danni causati intenzionalmente (dolo).
Accanto alla responsabilità extracontrattuale, esiste la responsabilità contrattuale, disciplinata dall’art. 1218 c.c., che si riferisce al risarcimento dovuto in caso di inadempimento o inesatto adempimento di obblighi derivanti da un’obbligazione o contratto.
Il risarcimento danni ha una funzione compensativa e riparatoria, non punitiva. L’obiettivo principale non è sanzionare il responsabile, ma compensare la vittima per il danno subito, riportandola, per quanto possibile, nella stessa condizione in cui si trovava prima dell’illecito.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26972/2008, ha chiarito che il risarcimento dei danni mira a ripristinare un equilibrio, compensando la vittima in modo proporzionale alla gravità del pregiudizio sofferto.
Risarcimento danni: responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale
Nel diritto civile, il risarcimento danni si fonda su due principali forme di responsabilità: la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale (o aquiliana).
Responsabilità contrattuale
L’art. 1218 c.c. recita:
Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Da ciò discende che, se l’inadempimento è determinato da caso fortuito o forza maggiore, l’obbligazione si estingue ed il debitore non è più tenuto ad adempiere (art. 1256 c.c.).
Il debitore è responsabile dell’inadempimento solo se vi è sua colpa, coordinando l’art. 1218 c.c. con l’art. 1176 c.c., che obbliga ad adempiere con la diligenza del buon padre di famiglia. Non è richiesto che il debitore si adoperi fino all’impossibile, ma solo nei limiti della diligenza e correttezza.
Tipi di inadempimento
L’inadempimento può avere diverse declinazioni ed essere:
totale: la prestazione manca interamente (ad es. è mancata la consegna del bene oggetto del contratto);
parziale: la prestazione è inesatta (ad es. il chirurgo pur avendo eseguito correttamente l’intervento, dimentica una garza nell’addome del paziente;
assoluto: è da escludersi che l’adempimento possa ancora avvenire ( ad es. il fotografo che non si presenta il giorno delle nozze);
relativo: la prestazione non è stata eseguita, ma potrebbe esserlo in futuro.
Responsabilità extra-contrattuale (o aquiliana)
A differenza della responsabilità contrattuale, nella responsabilità aquiliana non c’è un vincolo negoziale preesistente tra le parti. Questo tipo di responsabilità si fonda sul principio generale dell’“alterum non laedere”, che impone a ciascun individuo l’obbligo di non arrecare danno ingiustificato agli altri. L’espressione “aquiliana” deriva dalla lex Aquilia del 287 a.C., che per prima disciplinò, nel diritto romano, la responsabilità ex delicto.
Perché ci sia responsabilità extracontrattuale, è necessario che il danneggiato dimostri la sussistenza dei seguenti elementi:
- elemento oggettivo: costituto dalla condotta dell’autore, dall’evento dannoso e dal nesso di causalità tra condotta ed evento. Il danno deve essere conseguenza immediata e diretta della condotta dell’agente;
- antigiuridicità del danno: l’obbligo di risarcimento scatta solo sé c’è un danno ingiusto, cioè contrario all’ordinamento, ossia non giustificato da una causa di esclusione della responsabilità (come il consenso dell’avente diritto o l’esercizio di un diritto). L’antigiuridicità si verifica, quindi, quando il danno lede un interesse protetto senza una causa di giustificazione;
- elemento soggettivo: la colpa o il dolo del responsabile, ossia l’intenzionalità o la negligenza nella condotta.
Principali differenze tra i due regimi
Le principali differenze tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale riguardano:
- presupposto giuridico: nella responsabilità contrattuale, il risarcimento nasce dall’inadempimento di un obbligo contrattuale, mentre nella responsabilità extracontrattuale deriva dalla violazione di un dovere generale di non arrecare danno;
- onere della prova: in ambito contrattuale, il debitore è tenuto a dimostrare che l’inadempimento non è a lui imputabile (es. forza maggiore). In ambito extracontrattuale, invece, è il danneggiato che deve provare l’elemento soggettivo del responsabile e il nesso causale tra fatto illecito e danno subito;
- danno risarcibile: l’illecito extracontrattuale obbliga a risarcire ogni danno che derivi dal fatto illecito, mentre l’inadempimento di un’obbligazione, quando non dipenda dal dolo del debitore, obbliga a risarcire solo il danno che poteva prevedersi quando è sorta l’obbligazione;
- termini di prescrizione: l’azione per il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana si prescrive in 5 anni; quella per il risarcimento del danno da inadempimento, di regola si prescrive in 10 anni.
Chi ha diritto al risarcimento del danno?
Nel caso di responsabilità extracontrattuale, il diritto al risarcimento spetta a chiunque abbia subito un pregiudizio ingiusto causato da un fatto illecito altrui. Il danneggiato può essere una persona fisica o giuridica, purché dimostri di aver subito un pregiudizio concreto e attuale.
Tuttavia, non tutti i danni sono risarcibili: è necessario che il danno sia «certo» e non meramente ipotetico o futuro. Ad esempio, una perdita economica effettiva, come la distruzione di un bene o un mancato guadagno immediato, sarà risarcibile; invece, un danno ipotetico, che potrebbe manifestarsi solo in futuro, difficilmente sarà risarcibile.
Allo stesso modo, nella responsabilità contrattuale, il risarcimento è dovuto al creditore che ha subito un danno a causa dell’inadempimento o del ritardo nell’adempimento del debitore.
Categorie di soggetti legittimati
In caso di responsabilità aquiliana, il diritto al risarcimento dei danni non spetta solo al soggetto che subisce direttamente il danno, ma può essere esteso anche a superstiti e familiari della vittima in caso di decesso o lesione grave. Ad esempio, i parenti stretti della vittima hanno il diritto di chiedere il risarcimento per il danno morale, il danno esistenziale o il danno biologico riflesso, ossia il pregiudizio che colpisce la loro sfera affettiva e relazionale a causa della perdita subita.
La giurisprudenza ha, inoltre, riconosciuto il diritto al risarcimento anche ai conviventi che dimostrano di avere una relazione stabile e duratura con la vittima (Cass. SS.UU. sent. n. 9009/2016).
Soggetti esclusi dal risarcimento
Non tutti coloro che subiscono un danno hanno diritto al risarcimento. L’art. 1227 c.c. prevede che il risarcimento possa essere ridotto o negato qualora il danneggiato abbia concorso al verificarsi del danno con il proprio comportamento negligente o non abbia adottato le misure necessarie per limitare il pregiudizio.
Questo principio, noto come concorso di colpa, impone una valutazione proporzionale della responsabilità del danneggiato e prevede una riduzione del risarcimento in misura pari alla sua colpevolezza.
Quali danni possono essere risarciti? Differenza tra patrimoniali e non patrimoniali
Il risarcimento può riguardare sia i danni patrimoniali, legati direttamente alla sfera economica della vittima, sia i danni non patrimoniali, che colpiscono la sfera personale, morale e affettiva. La finalità del risarcimento è di riportare la vittima, per quanto possibile, nella situazione in cui si trovava prima dell’evento dannoso, mediante una compensazione proporzionata al pregiudizio subito.
Danno patrimoniale
Il danno patrimoniale si riferisce al pregiudizio economico subito dalla vittima e si suddivide in due principali categorie: il danno emergente e il lucro cessante.
- Danno emergente: è la perdita effettiva subita dal patrimonio della vittima. Rientrano in questa categoria le spese sostenute per riparare il danno subito, come le riparazioni di beni danneggiati, i costi medici o qualsiasi altro esborso che la vittima ha dovuto affrontare a causa dell’illecito. Ad esempio, il costo delle cure mediche necessarie a seguito di un incidente stradale.
- Lucro cessante: riguarda le opportunità economiche perse a causa del danno subito. In altre parole, si tratta del mancato guadagno che la vittima avrebbe potuto ottenere se non fosse stata danneggiata. La quantificazione del lucro cessante richiede una prova precisa e concreta delle perdite economiche subite, che può includere stime basate sui guadagni precedenti o sulle prospettive di crescita economica interrotte dall’evento dannoso.
Danno non patrimoniale
Il danno non patrimoniale comprende i pregiudizi che colpiscono la sfera personale e morale della vittima.
Tale tipo di danno si suddivide in varie sottocategorie:
- danno biologico: rappresenta la lesione dell’integrità psicofisica della persona, ovvero qualsiasi danno alla salute, temporaneo o permanente, accertabile tramite criteri medico-legali. Il danno biologico può riguardare sia le conseguenze fisiche sia quelle psicologiche di un evento traumatico;
- danno morale: si riferisce alla sofferenza interiore o al patimento d’animo subito dalla vittima a causa dell’illecito. Il danno morale è strettamente collegato al danno biologico, ma si differenzia perché non si riferisce alla lesione della salute fisica o mentale, bensì alla sofferenza emotiva. Ad esempio, il dolore provato per la perdita di un caro o per un’offesa particolarmente grave;
- danno esistenziale: riguarda il pregiudizio che incide sulla qualità della vita della vittima, come la ridotta capacità di svolgere attività quotidiane o di relazionarsi con gli altri. Tuttavia, la giurisprudenza italiana ha chiarito che il danno esistenziale non rappresenta una categoria autonoma di risarcimento, ma può essere incluso all’interno del risarcimento complessivo per danno non patrimoniale, secondo quanto stabilito dalla Cassazione.
A chi rivolgersi per chiedere il risarcimento danni
Quando si subisce un danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, è fondamentale rivolgersi ai soggetti e alle istituzioni giuste per ottenere il risarcimento. Il percorso da seguire può variare in base alla natura del danno e alle circostanze in cui è avvenuto, ma ci sono delle figure chiave da considerare per agevolare il processo di richiesta del risarcimento.
L’avvocato specializzato
Il primo passo per chi vuole richiedere un risarcimento è rivolgersi a un avvocato specializzato in responsabilità civile. Un avvocato con esperienza nel settore saprà valutare il caso, analizzando se sussistono i presupposti per ottenere un risarcimento e fornendo la consulenza necessaria su come procedere.
L’avvocato si occupa della raccolta delle prove, nell’identificazione del nesso di causalità tra la condotta illecita e il danno subito, e nella stesura e presentazione della richiesta di risarcimento.
Inoltre, l’avvocato rappresenta il cliente durante le trattative stragiudiziali con il responsabile del danno o la sua compagnia assicurativa, negoziando l’importo del risarcimento e garantendo che i diritti del danneggiato siano tutelati. Se la questione non si risolve in via stragiudiziale, sarà l’avvocato a portare la causa in giudizio, assistendo il cliente fino alla sentenza.
La compagnia assicurativa
In molti casi, specie per incidenti stradali o danni coperti da polizze assicurative, l’interlocutore principale sarà la compagnia assicurativa del responsabile. Il danneggiato può presentare una richiesta di risarcimento direttamente all’assicurazione, la quale avvierà la valutazione del sinistro.
Ciò rileva quando vi è una polizza di responsabilità civile (RCA) o una copertura assicurativa per danni patrimoniali. Se la compagnia assicurativa non riconosce il danno o lo risarcisce in modo parziale, il danneggiato ha il diritto di ricorrere in giudizio per ottenere il giusto risarcimento.
Il mediatore civile
Prima di intraprendere un procedimento giudiziario, è spesso utile o obbligatorio ricorrere alla mediazione civile. Tale procedura stragiudiziale, disciplinata dal D.Lgs. n. 28 del 2010, è una condizione di procedibilità per alcune materie, come la responsabilità medica, gli incidenti stradali e i contratti assicurativi. Il mediatore, un professionista imparziale, facilita il dialogo tra le parti per raggiungere un accordo.
Durante la mediazione, l’avvocato del danneggiato assiste il proprio cliente, fornendo consulenza e rappresentanza per negoziare l’entità del risarcimento. La mediazione offre un’alternativa più rapida ed economica del processo giudiziario.
Il giudice
Nel caso in cui non si riesca a raggiungere un accordo durante la mediazione, la strada successiva è quella del contenzioso giudiziario. Il danneggiato, assistito dal proprio avvocato, può intentare una causa presso il Giudice di Pace o il Tribunale Civile, a seconda del valore della controversia.
Il giudice valuterà le prove presentate e, se necessario, potrà disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per determinare con precisione il danno subito. Al termine del procedimento, se il giudice riconosce le ragioni del danneggiato, emetterà una sentenza che obbliga il responsabile al risarcimento, comprendendo anche il rimborso delle spese legali.
Risarcimento danni: procedure e tempi
Il processo per ottenere il risarcimento dei danni segue procedure ben precise, che variano a seconda della natura del danno e della responsabilità (contrattuale o extracontrattuale). In ogni caso, la tempestività nell’agire è essenziale per evitare la prescrizione e per facilitare l’accertamento dei fatti e la raccolta delle prove.
Raccolta delle prove
La prima fase per la richiesta di risarcimento riguarda la raccolta e la conservazione delle prove relative all’illecito o all’inadempimento. Infatti, è necessario dimostrare il danno subito attraverso documentazione, perizie, certificati medici, fotografie o altre evidenze. Nel caso di responsabilità contrattuale, ad esempio, il creditore danneggiato deve conservare tutta la documentazione relativa all’inadempimento dell’obbligazione, come contratti, fatture e corrispondenza. In caso di responsabilità extracontrattuale, invece, sarà fondamentale documentare il fatto illecito e le sue conseguenze.
Richiesta stragiudiziale di risarcimento
Dopo aver raccolto le prove, l’avvocato può procedere con la richiesta stragiudiziale di risarcimento, inviando al responsabile (o alla sua compagnia assicurativa) una diffida formale e lettera di costituzione in mora. In essa si indicano i danni subiti e si chiede un risarcimento entro un termine ragionevole. Tale richiesta rappresenta un passo necessario, specie in ambito extracontrattuale o in casi di sinistri stradali coperti da assicurazioni. Questa fase può condurre a una composizione stragiudiziale della controversia, riducendo i costi e i tempi del procedimento. Tuttavia, qualora non si giunga a un accordo, si potrà procedere per via giudiziale.
Mediazione obbligatoria
Come visto, in alcune materie, come la responsabilità medica o i sinistri stradali, la legge prevede che prima di adire il giudice sia necessario esperire un tentativo di mediazione civile obbligatoria (art. 5 D.Lgs. 28/2010). Il termine per la conclusione della mediazione è generalmente di 3 mesi, ma può essere prorogato in caso di accordo tra le parti.
Procedimento giudiziario
Se la mediazione non produce risultati o non è obbligatoria, si può procedere con una domanda giudiziale di risarcimento danni. La scelta del giudice competente dipende dal valore della controversia. I tempi del processo civile italiano possono variare notevolmente. Generalmente, per una causa di risarcimento danni, i tempi possono oscillare tra i 2 e i 5 anni, a seconda della complessità del caso e del carico di lavoro del tribunale competente. In taluni casi, è possibile chiedere al giudice la nomina di un consulente tecnico d’ufficio (CTU) per la valutazione del danno. Dopo l’emissione della sentenza, la parte soccombente ha il diritto di proporre appello, il che può prolungare ulteriormente i tempi per ottenere un risarcimento definitivo.
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Come si quantifica il risarcimento danni
Nel caso di responsabilità contrattuale, il quantum del risarcimento è regolato dall’art. 1223 c.c., che stabilisce la risarcibilità del danno emergente e del lucro cessante. Tuttavia, come stabilito dall’art. 1225 c.c., il risarcimento è limitato ai danni prevedibili al momento della conclusione del contratto, a meno che l’inadempimento sia stato doloso.
Ciò significa che il debitore sarà tenuto a risarcire solo quei danni che, ragionevolmente, potevano essere previsti come conseguenza dell’inadempimento. Ad esempio, un’impresa che non rispetta i termini di consegna dovrebbe risarcire i danni derivanti dal ritardo (come il mancato utilizzo del bene o i costi di affitto di un sostituto), ma solo nella misura in cui questi erano prevedibili al momento della stipula del contratto.
Nel caso della responsabilità extracontrattuale, il risarcimento si basa sull’art. 2056 c.c., che richiama l’art. 1223 c.c., ma con una differenza importante: il risarcimento copre anche i danni imprevedibili, purché siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito. Ad esempio, in caso di incidente stradale, il risarcimento non sarà limitato ai soli danni prevedibili (come il danno al veicolo), ma includerà anche le spese mediche e la perdita di reddito, anche se non immediatamente prevedibili al momento dell’evento.
Criteri di quantificazione concreta
Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, come il danno biologico, la sofferenza morale e la compromissione della qualità della vita, i giudici italiani si avvalgono delle Tabelle del Tribunale di Milano. Tali tabelle, aggiornate periodicamente, offrono un sistema standardizzato per la liquidazione dei danni, prevedendo importi specifici in base alla gravità del danno (misurato in punti percentuali di invalidità permanente o temporanea) e all’età del danneggiato.
Esempi concreto
- Una lesione che comporta un’invalidità permanente del 10% per una persona di 40 anni potrebbe essere quantificata in circa €20.000 - €30.000, considerando sia il danno biologico che quello morale.
- Nel caso di un’invalidità temporanea, come una frattura guaribile in 60 giorni, il risarcimento potrebbe essere quantificato attorno ai €100 - €200 al giorno, a seconda delle circostanze.
Per il danno patrimoniale, la quantificazione richiede invece prove documentali, come ricevute per spese mediche, preventivi per la riparazione di beni danneggiati, o certificazioni fiscali per la perdita di reddito. In ambito contrattuale, ad esempio, il lucro cessante deve essere dimostrato tramite elementi oggettivi, come la perdita di guadagni attesa in base a precedenti performance o contratti interrotti.
Personalizzazione del risarcimento
Oltre ai criteri tabellari, la personalizzazione del risarcimento è un principio fondamentale della quantificazione dei danni.
Il giudice può incrementare o ridurre l’importo calcolato in base a fattori specifici del caso, come la maggiore incidenza del danno sulla vita del danneggiato rispetto ai criteri standard o le particolari sofferenze morali provate. Ad esempio, una lesione minore potrebbe avere conseguenze gravi se impedisce alla vittima di esercitare la propria professione.
In sintesi, la quantificazione del risarcimento danni segue criteri ben definiti ma può variare significativamente in base alle circostanze del singolo caso e alle prove documentali presentate.
FAQ, domande frequenti
1. Che differenza c’è tra risarcimento del danno e indennizzo?
- La differenza tra risarcimento del danno e indennizzo riguarda la causa del danno. Il risarcimento del danno viene concesso per riparare un danno causato da un illecito, come un incidente, con l’obiettivo di riportare la persona danneggiata alla situazione precedente. L’indennizzo, invece, è una somma stabilita da legge o contratto, come nel caso di un’assicurazione, e viene erogato anche in assenza di un illecito.
2. Anche i superstiti possono richiedere il risarcimento danni?
- Sì, i superstiti possono richiedere il risarcimento dei danni quando la morte di un familiare è causata da un illecito. Possono chiedere il risarcimento per il danno morale, legato alla sofferenza per la perdita, e per i danni patrimoniali, come la perdita di sostegno economico. La richiesta è fondata sull’art. 2043 c.c.
3. Cosa si intende per risarcimento integrale del danno?
- Il risarcimento integrale del danno copre tutte le conseguenze negative subite dalla vittima, sia patrimoniali che non patrimoniali, al fine di riportarla alla situazione precedente al danno. Comprende i danni economici (come il lucro cessante) e quelli non economici (come il danno morale).
4. Cosa significa «risarcimento del maggior danno»?
- Il risarcimento del maggior danno si verifica quando l’importo inizialmente stabilito non è sufficiente a coprire completamente i danni subiti. Questo può avvenire, ad esempio, nel caso di ritardi nel pagamento del risarcimento, che causano ulteriori perdite economiche, secondo quanto previsto dall’art. 1224 c.c..
5. Chi deve pagare l’avvocato?
- Di norma, l’avvocato viene pagato dal cliente che ha usufruito dei suoi servizi, secondo l’accordo stipulato. Tuttavia, nelle cause, chi perde è spesso tenuto a rimborsare le spese legali della controparte. Il giudice può decidere di compensare le spese in tutto o in parte, ma il cliente deve comunque pagare il proprio avvocato, secondo le tariffe forensi o quanto stabilito nel contratto.
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