Zona rossa e zona arancione: ristoranti chiusi anche a pranzo, eccetto coloro che svolgono il servizio mensa. Ma ci sono ristoratori che si stanno approfittando di questa possibilità.
Da oggi tutti i ristoranti d’Italia sono chiusi sia a pranzo che a cena, eccetto quelli della Sardegna, in quanto unica Regione bianca.
Il resto d’Italia si divide tra arancione e rossa, con i ristoranti che possono restare aperti per le sole attività d’asporto e per le consegne a domicilio. Ma non solo: vi è anche la possibilità di lavorare come mense.
Ed è proprio su questo che vogliamo soffermarci, in quanto sembra che l’opportunità offerta dai vari decreti venga sfruttata da alcuni ristoratori per restare aperti nonostante i divieti. Fatta la legge trovato l’inganno: ancora una volta in Italia ci sono delle attività che hanno sfruttato una permissione per restare aperte regolarmente, pur - di fatto - non avendone diritto.
Ristoranti aperti come mense: cosa prevede la legge
Ci sono ristoranti che sfruttando la possibilità di continuare a lavorare come mense stanno aprendo senza alcuna “selezione all’ingresso” a tutta la clientela possibile, lavorando quindi a pieno regime nonostante il passaggio in zona arancione o rossa.
Com’è possibile questo? Ciò succede in quanto tutti i provvedimenti adottati dagli ultimi Governi, compreso l’ultimo DPCM in scadenza il 6 aprile, consentono ai ristoranti di “svolgere le attività di mense e catering continuativo su base contrattuale”, purché nel rispetto delle regole sul distanziamento sociale e di eventuali linee guida locali.
Attenzione, questo non significa che possono restare aperti solo coloro che sono dotati dello specifico codice Ateco per mense (56.29.1) e catering (56.29.2). Come chiarito nei mesi scorsi dal vice capo di gabinetto del Ministero dell’Interno, Paolo Formicola, è sufficiente che i locali pubblici abbiano sottoscritto un “rapporto contrattuale per la somministrazione di alimenti e bevande” con qualche azienda, svolgendo quindi di fatto il servizio mensa. Non ci sono impedimenti allo svolgimento di questa attività, purché ovviamente il ristorante resti aperto per i soli dipendenti dell’azienda con la quale ha sottoscritto l’accordo come mensa.
Deve comunque sussistere il requisito della ristorazione collettiva: non possono usufruire dello stesso servizio, quindi, i singoli lavoratori autonomi o i liberi professionisti. È necessario un accordo alla base che riguardi la collettività dei dipendenti di un’azienda.
Non ci sono impedimenti riguardo alla possibilità di stipulare accordi con più di un’azienda e questo vale sia per i servizi a pranzo che per quelli a cena. È emblematico, ad esempio, quanto successo durante i giorni del Festival, dove a Sanremo i ristoranti sono rimasti aperti fino a notte per la somministrazione di alimenti e bevande ai tecnici e giornalisti della Rai, come pure ai dipendenti delle case discografiche con le quali era stato stipulato il contratto mensa.
Al momento questa prassi si è diffusa particolarmente in Veneto ed Emilia Romagna, ma anche in Lombardia dove la Regione il 12 marzo scorso ha pubblicato una nota con la quale ha comunicato che “l’attività di mensa o di catering continuativo può essere svolta, per tutto il periodo dell’emergenza sanitaria, a seguito solo di una preventiva comunicazione al Comune (pertanto senza presentazione di un’ulteriore Scia), e senza necessità di integrazione dei codici Ateco”.
Ristoranti aperti come mense: servono i controlli
Come fanno notare alcuni ristoratori, però, servono maggiori controlli verso quei ristoranti che in questi giorni continueranno ad offrire il servizio mensa. Restando aperti, infatti, questi potrebbero anche accogliere la normale clientela, facendo sì che questa possibilità si trasformi in un escamotage per arginare le restrizioni.
Ad esempio, il Fatto Quotidiano ha raccolto la testimonianza di Gianluca Pini, ex senatore leghista e oggi imprenditore nell’ambito della ristorazione a Forlì, il quale ha confermato di “avere le prove di diversi locali che fanno entrare chiunque, facendo firmare un modulo prestampato in cui si dichiara di essere il legale rappresentante della propria società e di volersi avvalere del “servizio mensa” per il proprio personale”. La norma vuole che i nomi dei dipendenti vengano indicati nell’accordo, ma pochi lo fanno.
Mancano le verifiche ed è per questo che ci sono delle realtà dove questa possibilità si è trasformata in un trucco per “far sedere chiunque”. Una situazione che va risolta al più presto, altrimenti si rischia di penalizzare anche coloro che ogni giorno si impegnano per rispettare le regole previste.
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