Salario minimo: presentata oggi la direttiva della Commissione europea per gli Stati membri. Cosa cambia per l’Italia?
Salario minimo: c’è la direttiva Europea per garantire che tutti abbiano uno stipendio sufficiente in Europa, ma cosa cambia in Italia?
Poco o nulla dal momento che la direttiva lascia ampio margine di manovra agli Stati membri, compresa l’Italia di poter decidere in merito. Non si tratta quindi di una direttiva che impone l’obbligo dell’introduzione del salario minimo europeo, ma di un consiglio al fine del raggiungimento di un eventuale obiettivo negli Stati Ue e che può avvenire anche per legge.
In Italia da tempo si discute di salario minimo orario per legge e che tuttavia ancora non esiste.
La direttiva dalla Commissione europea era stata annunciata nelle scorse settimane e già agli inizi del mese di ottobre il Parlamento europeo auspicava una risoluzione celere per il salario minimo.
Recente infatti è anche l’analisi degli uffici tecnici del Parlamento europeo proprio sul salario minimo che mette in evidenza la necessità di adozione di un provvedimento comune specie a fronte della grande crisi che il Covid sta imponendo anche e soprattutto ai lavoratori.
In che termini la nuova direttiva della Commissione europea potrebbe avere conseguenze sull’Italia?
Salario minimo: la direttiva europea
Per il salario minimo c’è la direttiva della Commissione europea per un adeguamento di tutti i Paesi dell’Unione.
La direttiva sul salario minimo andrebbe a introdurre un sistema di monitoraggio annuale sugli stipendi garantiti negli Stati membri, quindi senza un’imposizione di regole e rispettando la specificità dei singoli Stati; un Paese in cui già esiste il salario minimo allora dovrà semplicemente verificare che sia adeguato agli standard minimi proposti dall’Europa.
Con la direttiva Ue, che ribadiamo non è vincolante, la Commissione suggerisce anche criteri per stabilire i salari minimi legali e che sono:
- il livello generale di salari lordi e la loro distribuzione;
- gli sviluppi sulla produttività del lavoro;
- il tasso di crescita dei salari lordi;
- il potere d’acquisto.
L’analisi del Parlamento europeo
Il Parlamento europeo, nell’analisi di cui abbiamo detto sopra, punta l’attenzione sulla necessità di un intervento normativo a livello europeo per il salario minimo dal momento che il Covid ha messo in evidenza come vi siano ancora categorie di lavoratori sottopagati e che sono quelle che durante l’emergenza hanno continuato a essere operative e produttive.
Si tratta di addetti alla logistica, alle pulizie, commessi, camerieri, lavoratori dei trasporti pubblici e operatori ecologici. Non solo, secondo il report del Parlamento europeo, sono anche i lavoratori con salari bassi che più di tutti sono stati colpiti dalla perdita dell’occupazione.
Per il Parlamento Ue, e a quanto pare anche per la Commissione, è fondamentale un intervento per stabilire un salario minimo a livello europeo. Nell’analisi si mette in evidenza anche un altro aspetto importante: nei 22 Paesi europei in cui il salario minimo è stato introdotto questo risulta inferiore rispetto al minimo garantito dalla contrattazione collettiva nei Paesi, come l’Italia, che non lo prevedono.
La nuova direttiva Ue tiene conto tuttavia delle diverse realtà in Europa, delle differenze territoriali anche in rapporto al costo della vita.
Salario minimo: cosa cambia in Italia?
Veniamo ora alla questione cruciale ovvero cosa potrebbe cambiare in Italia con la direttiva europea sul salario minimo. In Italia vige la contrattazione collettiva e quindi è determinante il ruolo dei sindacati sebbene molte categorie non siano coperte da un CCNL.
In Italia esiste anche il problema dei cosiddetti contratti pirata, che vengono stipulati da organizzazioni sindacali con rappresentatività scarsa o nulla, ma che inducono al fenomeno del dumping o shopping contrattuale che produce condizioni retributive peggiorative imposte ai lavoratori.
Sembra che la direttiva europea vada nella direzione di non intervenire direttamente sul livello dei salari minimi rispettando le tradizioni nazionali, l’autonomia dei sindacati e la libertà della contrattazione collettiva.
In Italia, in cui vige la contrattazione collettiva, non dovrebbe cambiare molto con la direttiva della Commissione europea sul salario minimo; qui bisognerebbe coprire con un minimo garantito i lavoratori per i quali non esiste un CCNL e che sono sfruttati e sottopagati.
L’obiettivo della direttiva Ue sul salario minimo europeo va proprio nella direzione di spingere quei Paesi in cui la contrattazione collettiva non arriva a coprire il 70% dei lavoratori, a prevedere una normativa specifica.
Nel nostro Paese, lo abbiamo detto, da tempo si parla di salario minimo orario garantito, punto centrale della riforma del Lavoro che la ministra Nunzia Catalfo vuole portare a termine.
Una proposta di legge che tuttavia non piace a Confindustria e neanche ai sindacati, laddove i minimi salariali sono garantiti dai CCNL firmati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative e che tuttavia non coprono moltissimi lavoratori che pertanto sono sfruttati e sottopagati.
Proprio oggi che la Commissione europea ha dato vita alla direttiva, la Germania ha annunciato che entro il 2022 il salario minimo sarà portato a 10,45 euro l’ora. Insieme all’Italia vi sono anche altri Paesi che non prevedono un salario minimo per legge e sono Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia e Cipro.
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