Sanzioni al petrolio russo, dopo un anno il bilancio sorprende. Ecco perché

Violetta Silvestri

16/12/2023

Quale impatto hanno avuto davvero le sanzioni al petrolio russo? A un anno dal price cap e dal divieto di importazione di greggio da Mosca, il bilancio non è soddisfacente. I motivi in uno studio.

Sanzioni al petrolio russo, dopo un anno il bilancio sorprende. Ecco perché

Un anno fa, il 5 dicembre 2022 è entrato in vigore il limite di prezzo di 60 dollari al barile per il petrolio russo e il divieto di importazione europea del greggio di Mosca. Qual è il bilancio?

Per capire quanto effettivamente questa mossa abbia soddisfatto gli obiettivi iniziali, ci facciamo aiutare da un’analisi di CREA (Centre for Research on Energy and Clean Air). L’ambizione dell’Occidente con questa misura era alta e volta a colpire le casse di Putin dalle quali attingeva per finanziare il conflitto.

In quei giorni, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, aveva dichiarato: “la decisione colpirà ancora più duramente le entrate della Russia e ridurrà la sua capacità di fare guerra in Ucraina”.

Oggi è chiaro che le sanzioni non hanno ridotto la determinazione del Cremlino a continuare la guerra in Ucraina. Nello specifico, l’analisi ha svelato che il divieto di importazione di petrolio dell’Ue e il tetto massimo dei prezzi del G7 hanno tagliato i proventi delle esportazioni di petrolio del Paese del 14%, diminuendo di 34 miliardi di euro i ricavi.

Poco o tanto? La cifra nasconde dettagli interessanti sul reale impatto - non così dannoso per Mosca - delle sanzioni al petrolio russo. CREA ne ha spiegato il motivo.

Perché le sanzioni al petrolio russo non sono state così incisive

L’analisi CREA mostra che le sanzioni hanno avuto un impatto pesante sui ricavi delle esportazioni di petrolio russo nella prima metà dell’anno, con un picco di perdite di 180 milioni di euro al giorno nel primo trimestre del 2023. Nel gennaio 2023, la Russia ha registrato un significativo calo del 45% su base mensile dei ricavi complessivi dei combustibili fossili, con il solo petrolio greggio che ha pesato per mancati introiti del 25%.

Tuttavia, l’incapacità di applicare, rafforzare e monitorare costantemente il tetto massimo dei prezzi ha consentito alla Russia di annullarne questo impatto nella seconda metà dell’anno. Le perdite di ricavi si sono ridotte a 50 milioni di euro al giorno nel secondo e terzo trimestre, per poi risalire a 90 milioni di euro al giorno nell’ultimo trimestre dell’anno.

CREA ha testimoniato la cosiddetta “scappatoia della raffinazione”. In sostanza, i Paesi Ue e del G7 hanno aumentato le importazioni di prodotti petroliferi raffinati russi da quei Paesi che sono diventati i maggiori importatori di petrolio greggio della Russia.

Il rapporto ha esaminato, già dallo scorso anno, il riciclaggio del petrolio russo da parte delle nazioni che importano greggio russo e poi vendono prodotti petroliferi ai Paesi che hanno sanzionato Mosca. Il vantaggio, ovviamente, è tutto delle casse di Putin.

Il maggiore utilizzo da parte della Russia di petroliere “ombra” per trasportare il petrolio ha anch’esso ridotto l’effetto delle sanzioni.

In sintesi, secondo CREA, se l’effetto delle sanzioni è in diminuzione, ciò è dovuto al fallimento dei governi del G7 e dell’Ue nell’applicare e rafforzare il tetto massimo dei prezzi. Questo fallimento ha consentito alla Russia di vendere il proprio petrolio al di sopra del livello del prezzo massimo, aumentando al tempo stesso i volumi di esportazione verso nuovi acquirenti disponibili che non impongono sanzioni.

Inoltre, i prodotti petroliferi raffinati dal greggio russo vengono esportati legalmente verso Paesi che impongono limiti di prezzo. Questa “scappatoia nella raffinazione” fornisce uno sbocco per le esportazioni di petrolio di Putin.

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