Per la prima volta dal 1991, a maggio la bilancia commerciale tedesca è scesa in negativo. I costi dell’energia bloccano l’export e la disoccupazione sale. Ma i subfornitori di quel sistema siamo noi
Il termine tedesco Schadenfreude, in parole povere, significa godere delle disgrazie altrui. E quando un gigante un po’ spocchioso come la Germania inciampa, magari viene naturale farsi una risata di gusto. Non fosse altro per l’ultima umiliante sconfitta della Nazionale di calcio. Ma questa volta, davvero non è il caso. Perché quanto appena accaduto rappresenta un cambio epocale, una messa in discussione del ruolo stesso di Berlino nell’economia e nel commercio mondiali. E a cascata, chi ne fa parte come complemento di sistema, sarà il primo a pagare dazio.
Questo grafico
dovrebbe essere stampato e affisso nelle aule delle facoltà universitarie di economia: per la prima volta dal 1991, la bilancia commerciale tedesca a maggio ha segnato una lettura negativa di 1 miliardo di euro. Tradotto, l’export della Germania - un motore instancabile, spesso dopato e dopante - sta patendo la crisi energetica e il fall-out delle sanzioni in maniera devastante. E se il crollo di Uniper ha costretto lo Stato a intervenire con promesse di garanzie sulle linee di credito, ecco che proprio oggi l’esecutivo guidato da Olaf Scholz ha presentato un pacchetto anti-crisi che, di fatto, contempla l’ingresso dello Stato nelle utilities energetiche che dovessero mettere a repentaglio le forniture a economia e famiglie. Emergenza pura. E di lungo termine, per chi ancora pensasse che la guerra finirà in fretta e, soprattutto, non lascerà strascichi economici oltre che diplomatici. Questo altro grafico
mostra chiaramente quale sia la prospettiva a un anno dei costi per l’elettricità in Germania, Paese la cui industria è la più energivora d’Europa. Praticamente, quell’immagine iniziale di surplus svanito nel nulla rischia di diventare una realtà di medio termine in continuo e progressivo aggiornamento al ribasso.
Ed ecco che questo altro grafico
mostra plasticamente come la situazione stia già riverberandosi sul dato occupazionale. A giugno il numero di disoccupati è salito di 133.000 unità, portando il tasso dal 5.0% al 5,3%. E se fino all’altro giorno erano gli industriali a lanciare continui allarmi sulla sostenibilità del trend dei prezzi, ieri è stata la ex numero uno della Federazione tedesca dei sindacati (Deutscher Gewerkschaftsbund; DGB) ed ex parlamentare SPD per il collegio di Hannover, Yasmin Fahimi, a dichiarare chiaramente in un’intervista alla Bild am Sonntag che a causa dei colli di bottiglia generati dalla crisi dei prezzi del gas, intere industrie sono a rischio permanente di collasso totale: alluminio, vetro e chimica in particolare. Un collasso di quelle proporzioni avrebbe immediate ripercussione sull’occupazione e sull’intera tenuta dell’economia tedesca. Insomma, poca voglia di moderare i toni o utilizzare giri di parole.
E quando un mensile satirico come Titanic decide di dar vita a una copertina come questa per il numero di luglio,
meglio frenare ulteriormente i pruriti da Schadenfreude, perché ricordiamoci sempre che - pur evitando allarmismi fuori luogo - parliamo comunque del Paese di Weimar, dell’iperinflazione e di ciò che ne seguì come mal riposta alternativa politica. L’inflazione peggiora, Scholz introduce il Reichsmark, titola il giornale. Certo, parliamo dell’equivalente del nostro vecchio Cuore diretto da Michele Serra o del Vernacoliere o di Charlie Hebdo in Francia. Ma si sa, spesso l’ironia e il sarcasmo sono i rivoli attraverso i quali la realtà si introduce con carsica pazienza nella narrativa quotidiana. Prima scandalizzandola, poi suscitando ilarità. Infine, tramutando quel buonumore in riso amaro.
Attenzione, quindi: questa crisi epocale dell’economia tedesca, passata l’estate, si trasferirà - come prezzi lungo la filiera - al nostro comparto della subfornitura industriale della Germania. Macchinari ma anche componentistica. Miliardi e miliardi di fatturato e migliaia di posti di lavoro soprattutto nel Nord Italia, dal Piemonte al Bresciano fino al Friuli. Ovvero, cassa integrazione, licenziamenti e conseguente aumento delle sofferenze bancarie e del credit crunch, solo per voler citare le conseguenze più automatiche e immediate. E se nella situazione attuale del Paese, si ferma il Nord produttivo, la Bce potrà dar vita anche all’alabarda spaziale di Goldrake contro lo spread. Sarà game over.
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