Sono ripresi gli scontri tra l’Armenia e l’Azerbaigian per la regione contesa del Nagorno-Karabakh. Cosa sta accadendo? I motivi storici della tensione e le conseguenza di una guerra nel Caucaso.
Torna lo spettro della guerra nel Caucaso: scontri tra l’Azerbaigian e l’Armenia si sono verificati all’alba di domenica 27 settembre.
Tra i due Stati è tornata altissima la tensione, mai sopita dagli anni ’90, da quando la rivendicazione da entrambe le parti del territorio Nagorno-Karabakh ha trasformato questa regione ex-sovietica in un campo minato.
Stando agli ultimi fatti, l’Azerbaijan avrebbe lanciato una grande controffensiva nei confronti dei separatisti armeni della regione contesa, i quali dichiarano di aver a loro volta attaccato l’esercito nemico. La nazione azera avrebbe inoltre dichiarato di voler porre fine alle attività militari dell’Armenia, con l’obiettivo di garantire la sicurezza della popolazione civile.
Cosa sta succedendo e perché si rischia una guerra pericolosa nel Caucaso?
Scontri tra Azerbaigian e Armenia: cosa succede?
Almeno 16 militari e diversi civili sono stati uccisi domenica 27 settembre negli scontri più pesanti dal 2016 tra Armenia e Azerbaigian.
Si sono riaccese, quindi, le preoccupazioni per la stabilità nel Caucaso meridionale, un corridoio strategico, passaggio di oleodotti che trasportano petrolio e gas ai mercati mondiali.
Cosa è successo nella concitata giornata d domenica?
Il governo armeno ha dichiarato che gli scontri hanno preso il via dopo alcuni bombardamenti avvenuti all’alba del 27 settembre che hanno causato diversi morti e feriti. Da parte sua l’esercito armeno avrebbe colpito due elicotteri, tre droni e tre carri armati.
I due Paesi si accusano a vicenda di aver iniziato i conflitti, nel mentre il governo separatista del Nagorno-Karabakh ha annunciato la legge marziale. Il porta voce della presidenza separatista ha scritto un post sulla sua pagina Facebook in cui ha dichiarato domenica: “Stamattina presto, la parte azera ha bombardato lungo tutta la linea del fronte. Stanno anche bombardando Stepanakert, chiediamo alla popolazione di rifugiarsi”.
Anche il ministro della Difesa della regione ha affermato che: “Le forze armate del Karabakh hanno finora sconfitto i piani dell’Azerbaijan, infliggendo pesanti perdite”. Da entrambi i Governi sono state segnalate diverse vittime e feriti.
Sulla vicenda è intervenuta anche la Russia, e il ministero degli Esteri russo Sergej Lavrov ha richiesto un “cessate il fuoco immediato” ad entrambe le parti. Mosca ha richiesto inoltre l’avvio dei colloqui per stabilizzare la situazione.
Anche la Turchia ha condannato l’attacco armeno nei confronti dell’Azerbaigian, sostenendo che si è trattato di una “chiara violazione delle leggi internazionali” ribadendo e confermando il suo appoggio al governo azero di Baku.
Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian spiegato bene
La tensione tra Armenia e Azerbaigian affonda le sue radici in tempi lontani e ruota intorno alla contesa mai risolta per il controllo della regione del Nagorno Karabakh, noto anche come Repubblica dell’Artsakh.
Questa porzione di territorio stretta tra i due Paesi mira a diventare indipendente, come lo è ma solo de facto, con la città Stepanakert considerata la capitale politica del territorio. A livello giuridico, però, il Nagorno Karabakh autonomo non esiste e nessuno Stato al mondo lo riconosce come tale.
Il suo controllo è rivendicato con forza e violenza da Armenia e Azerbaigian, in una guerra di definizione dei confini e delle appartenenze geografiche e etniche che continua da decenni.
Il Nagorno Karabakh si trova sul territorio dell’Azerbaigian ma non vuole sottoporsi alla sua giurisdizione, visto che la popolazione è a maggioranza armena, anche se la regione è staccata a livello geografico dall’Armenia.
La storia aiuta a capire i motivi di una così violenta tensione senza una stabile soluzione all’orizzonte.
Lo status della regione è stato contestato almeno dal 1918, quando Armenia e Azerbaigian sono diventate indipendenti dall’Impero russo. All’inizio degli anni ’20, il Governo sovietico è stato imposto nel Caucaso meridionale e il Nagorno-Karabakh, popolato prevalentemente da armeni, è diventata una regione autonoma all’interno dell’allora repubblica sovietica dell’Azerbaigian, con la maggior parte delle decisioni prese a Mosca.
Ma decenni dopo, quando l’Unione Sovietica ha iniziato a sgretolarsi, è diventato chiaro che il Nagorno-Karabakh sarebbe passato sotto il dominio diretto dell’Azerbaigian. La popolazione armena che in maggioranza abitava la regione non ha mai accettato questo passaggio.
Nel 1988, il Nagorno-Karabakh ha votato per l’adesione alla repubblica armena, una richiesta fortemente osteggiata sia dal Governo sovietico azero che da Mosca.
La situazione è peggiorata in quegli anni. Si sono susseguite rivendicazioni da una parte e dell’altra e gravi episodi di pulizia etnica. La miccia della guerra è esplosa dopo che il Nagorno Karabakh ha dichiarato la sua indipendenza nel 1991, a seguito di un referendum. Il conflitto civile, tra il 1992 e il 1993, ha causato 30.000 morti e 1 milione di profughi.
La situazione è rimasta in stallo, per esplodere in nuovi scontri nel 2016 e, di recente, in questi ultimi giorni.
Guerra nel Caucaso: tutti i protagonisti
Lo scenario di una guerra tra Armenia e Azarbaigian chiama in causa anche altri protagonisti, per questo l’ipotesi di un acceso conflitto desta pereoccupazioni.
La regione del Caucaso è cruciale e il suo controllo interessa potenze come Russia, Turchia, Iran, Stati Uniti e l’Europa.
Erdogan si è già schierato a favore dell’Azerbaigian, considerata alleata e dalla quale sfruttare la ricchezza di petrolio. Non solo, l’ostilità verso l’Armenia è condivisa dal Governo turco, da sempre contrario a riconoscere il genocidio armeno.
La Russia, invece, è il principale sostenitore dell’Armenia, che senza gli aiuti militari di Mosca non potrebbe competere con il suo rivale.
In questo scenario, l’Iran si è offerta per colloqui di pace e gli Stati Uniti hanno invitato le parti bloccare la violenza. Anche ONU e Unione Europea hanno invitato allo stop delle ostilità militari.
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