Si può fare un secondo lavoro in cassa integrazione? Quali sono le sanzioni? La legge non lo vieta in modo assoluto, ma ci sono dei limiti salariali da rispettare. Ecco quali e le tipologie di impiego possibili.
Lavorare in cassa integrazione: quando si può e quando è vietato? Questa è una delle domande più diffuse del momento, dato il gran numero di impiegati costretti alla cassa integrazione a causa del Covid.
Secondo la legge si può lavorare in cassa integrazione nel rispetto di alcuni limiti:
- fascia oraria (che non può coincidere con quella per cui il dipendente riceve la cassa integrazione);
- tipologia, il secondo lavoro non deve essere concorrente e incompatibile con quello principale;
- salariale, la somma percepita nel secondo lavoro non deve superare i 30.000 euro all’anno (altrimenti si perde il diritto alle somme erogate dall’Inps).
Di seguito il punto della situazione e le sanzioni per chi lavora in cassa integrazione quando è vietato.
SI PUÒ LAVORARE IN CASSA INTEGRAZIONE?
Lavorare in cassa integrazione, quando si può?
Lavorare durante la cassa integrazione non è vietato in maniera assoluta, ma si deve precisare che la legge impone diversi limiti: riguardo la tipologia del lavoro, di contratto e di salario percepito.
In caso di cassa integrazione a zero ore i dipendenti non possono svolgere alcuna attività lavorativa nel periodo del contratto aziendale (potrà ad esempio il sabato e la domenica senza superare il limite di 48 ore di lavoro a settimana).
Invece se la sospensione è solo parziale (alcuni giorni a settimana oppure con fascia oraria ridotta), nel tempo restante il dipendente può “arrotondare” con un altro impiego.
A questo punto bisogna vedere quali attività sono compatibili e quali no.
Il requisito principale è che l’attività lavorativa non sia in contrasto con quella per cui il dipendente percepisce la cassa integrazione.
Se l’attività è compatibile, egli potrà svolgere il nuovo impiego con contratto subordinato, autonomo, parasubordinato o accessorio. Esistono però dei limiti salariali, come spiegheremo più avanti.
Quando lavorare in cassa integrazione è vietato
Ci sono dei casi in cui non si può assolutamente lavorare e continuare a percepire le somme dall’Inps: ciò accade se il dipendente accetta un altro lavoro subordinato a tempo pieno con contratto full-time) e contratto indeterminato.
Se è interessato ad accettare l’offerta, egli deve darne comunicazione all’ex datore e all’Inps (preferibilmente tramite raccomandata a/r) che cesserà immediatamente l’erogazione della cassa integrazione.
Vietato lavorare nei giorni e nelle ore del lavoro per cui il dipendete ha diritto al beneficio e, sopratutto, svolgere mansioni - a titolo di lavoro autonomo o subordinato - che vanno in contrasto o sono in concorrenza con l’azienda della quali si è dipendenti.
Resta il dovere di fedeltà verso l’azienda
Il dipendente che percepisce la cig resta ancorato al dovere di fedeltà nei confronti dell’azienda in cui risulta ancora impiegato.
Questo significa che le ulteriori attività lavorative - anche rese in regime autonomo - non possono andare contro l’articolo 2015 del Codice civile: arrecare un pregiudizio all’azienda, svolgere attività concorrenti, divulgare notizie o metodi di produzione riservati.
Lavoro in cassa integrazione: i limiti salariali
Come abbiamo anticipato, esistono dei limiti salariali che vanno a modificare, ridurre o eliminare le somme percepite a titolo di cassa integrazione.
Può esserci cumulabilità tra i due redditi quando la retribuzione derivante dal secondo impiego è inferiore a quanto percepito a titolo di cassa integrazione.
La legge 134/2012 stabilisce che il dipendente in cassa integrazione può svolgere un altro lavoro part-time con contratto accessorio ma non oltre il limite salariale di 30.000 euro annui.
Lavorare in cassa integrazione: le sanzioni
Chi lavora nonostante la cig (noncurante delle limitazioni salariali o di orario previste dalla legge) rischia pesanti sanzioni economiche. Chiunque produca false dichiarazioni per continuare a beneficiare della cassa integrazione (della Naspi o altri sussidi) rischia la multa da 5.164 e 25.822 euro.
A questa si aggiunge la perdita del sussidio e la condanna a restituire all’Inps le somme indebitamente percepite, inoltre il datore di lavoro potrebbe agire contro di lui in sede civile per chiedere il risarcimento danni.
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