Si fa strada un nuovo ordine globale energetico dopo l’invasione dell’Ucraina: cosa significa? Nuove relazioni commerciali si instaurano per procurarsi gas e petrolio, evitando la via della Russia.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin sta costringendo i Governi di tutto il mondo a fare i conti con le conseguenze geopolitiche della guerra perseguita da una superpotenza energetica.
Per questo, non è poi così banale affermare che è in corso la definizione di un nuovo ordine mondiale dell’energia.
L’Unione Europea ha risposto accelerando la sua disconnessione dal gas russo, mentre gli Stati Uniti hanno vietato le importazioni di petrolio russo e stanno setacciando il mondo alla ricerca di forniture alternative.
L’Arabia Saudita sta godendo di una rinnovata importanza strategica poiché i prezzi del greggio, crollati due anni fa, hanno raggiunto nuovi massimi.
E la Russia stessa guarda sempre più a Oriente per vendere il suo gas.
Quale nuovo ordine mondiale energetico si sta delineando?
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La guerra disegna il nuovo ordine mondiale energetico
I cambiamenti in corso con la guerra stanno infiammando vecchi rancori tra nazioni non proprio alleate. Tuttavia, si vanno delineando anche opportunità per nuove alleanze, mentre i blocchi iniziano ad allinearsi in quello che sembra un nuovo ordine energetico mondiale.
Come sintetizzato da Bob McNally, presidente di Rapidan Energy Group ed ex funzionario della Casa Bianca: “questo rappresenta il più grande ridisegno della mappa energetica e geopolitica in Europa - e forse nel mondo - dal crollo dell’Unione Sovietica, se non dalla fine della seconda guerra mondiale.”
Nel dettaglio, per esempio la Germania ha allentato la sua dipendenza energetica dalla Russia, che non significa semplicemente colpire il principale flusso di entrate di Mosca (con lo stop anche al tanto discusso Nord Stream 2).
Da Berlino c’è la minaccia di ritirare la “Ostpolitik” una politica di riavvicinamento con l’Unione Sovietica del secondo dopoguerra e, per estensione, con la Russia, che ha comportato un impegno economico e politico, in particolare attraverso collegamenti petroliferi e del gas.
Intanto, mentre le nazioni europee abbandonano la Russia, la sua partnership con i titani del petrolio del Medio Oriente, con i quali guida congiuntamente la coalizione OPEC+, è rimasta finora intatta. La Russia e l’Arabia Saudita sono i principali esportatori di petrolio al mondo, rappresentando il 29% del totale mondiale.
I sauditi hanno respinto le pressioni degli Stati Uniti per sostituire il petrolio russo sfruttando la sua capacità di produzione inutilizzata, lasciando invece che i prezzi salissero al massimo degli ultimi 13 anni di quasi 140 dollari al barile. E, di contro, non hanno messo in cattiva luce i russi. Se con Trump le relazioni con l’Arabia Saudita si erano intensificate, ora con Biden c’è più gelo.
Le nazioni arabe del Golfo hanno accusato gli Stati Uniti di mancanza di sostegno di fronte ai ripetuti attacchi della milizia appoggiata dall’Iran agli impianti petroliferi sauditi e al traffico delle petroliere del Golfo e ad Abu Dhabi quest’anno. In disappunto, gli Emirati Arabi Uniti si sono astenuti in un voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite guidato dagli Stati Uniti per condannare l’aggressione russa dell’Ucraina.
Un’altra fonte di attrito risiede negli sforzi degli Stati Uniti per ripristinare l’accordo nucleare con l’Iran, rivale regionale dell’Arabia Saudita. Un’intesa potrebbe vedere l’Iran riportare la produzione di 1,3 milioni di barili al giorno a livelli pre-sanzioni entro la fine dell’anno, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia.
Le mosse degli USA sul fronte energia
In questo complesso scenario di attriti vecchi e nuovi, la potenza statunitense ha comunque bisogno di mantenere basso il prezzo della benzina per gli elettori americani e aiutare le possibilità del suo partito democratico di mantenere il Congresso alle elezioni di medio termine di novembre.
Dimostrando quanto siano eccezionali i tempi, lo scorso fine settimana una delegazione statunitense si è recata in Venezuela, aprendosi verso un Paese che detiene le più grandi riserve di greggio conosciute al mondo.
Lo stato venezuelano è stato soggetto a sanzioni internazionali dall’era Trump che hanno paralizzato la sua capacità di vendere petrolio. Sebbene non si parli ancora di consentire la ripresa delle esportazioni, il presidente Nicolas Maduro ha risposto offrendo comunque di aprire i rubinetti, affermando che la compagnia petrolifera statale PDVSA è pronta ad aumentare la produzione fino a tre milioni di barili al giorno per il mondo.
Comunque, essendo il Venezuela un alleato della Russia, la ripresa dell’interesse USA al suo petrolio significa giocare la carta di un riequilibrio del settore energetico verso l’Occidente.
La Cina tra ambiguità e calcoli
Se si parla di ordine mondiale, non si può trascurare il gigante Cina, che appare più ai margini in questa crisi ucraina.
Pechino è stato ambiguo nei confronti dell’aggressione russa, esprimendo preoccupazione per le vittime civili e dicendo che sostiene la sovranità dell’Ucraina, senza condannare le azioni del Cremlino o unirsi ad altri Paesi nell’imporre sanzioni.
La Cina continuerà a portare avanti la “normale cooperazione commerciale” con la Russia, anche nel settore del petrolio e del gas, ha affermato Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri. Il dragone sta valutando l’acquisto o l’aumento di partecipazioni in società russe come Gazprom PJSC, ha riferito Bloomberg questa settimana.
Gli importatori statali cinese, comunque, dovrebbero valutare con molta attenzione l’impatto sul loro business globale di grandi acquisti da un Paese soggetto a così tante sanzioni. Nemmeno si può ipotizzare che acquistare energia da Mosca sia una soluzione facile, anche se significasse meno inquinamento, ha affermato Li Shuo, analista climatico di Greenpeace East Asia.
“Cambiare l’attuale struttura energetica della Cina, sostituire molto carbone che utilizza ora con petrolio e gas russi, sarebbe un progetto enorme per la Cina e ci vorrebbe tempo”, ha dichiarato l’esperto.
La pedina Europa nello scacchiere energetico
Se c’è una regione del mondo che più sta cercando di rivoluzionare la sua struttura energetica è l’Unione Europea.
L’ambizioso progetto è di azzerare la dipendenza dall’energia russa nel 2027. Come? Intensificando i piani sulle rinnovabili ma anche lavorando internamente per i sistemi di stoccaggio e trovando nuovi partner commerciali.
L’export del GNL americano in Europa è già balzato in modo netto da quando è iniziata la guerra. Comunque, nazioni come Germania o Italia temono di subire il colpo in questo cambiamento di approvvigionamento così epocale.
Il nuovo ordine mondiale dell’energia si sta formando: a cosa porterà?
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