Studio dell’Italian Tech Alliance: dal 2013 le SGR hanno raccolto 2,3 miliardi di euro, di cui 1,1 ancora disponibili per investire in startup. Serve un maggior coinvolgimento degli investitori.
Per rendere l’Italia un ambiente attraente per le startup e per le PMI innovative è necessario che gli attori corporate e istituzionali investano di più, ma per fare in modo che ciò sia possibile è fondamentale che siano maggiormente coinvolti. Dialogando maggiormente con questi attori, per l’Italia sarà possibile raccogliere più capitali e di conseguenza competere con gli altri Paesi europei, che attualmente godono di una fama migliore.
È questo ciò che è emerso da un recente studio dell’Italian Tech Alliance, associazione italiana del venture capital, degli investitori in innovazione e delle startup e PMI innovative italiane.
Lo studio è stato realizzato analizzando i dati relativi al capitale raccolto da società come le SGR o equivalenti in Italia dal 2013 a oggi, con l’obiettivo di capire la provenienza delle risorse che hanno foraggiato il mercato tech nell’ultimo decennio, permettendo la crescita e il consolidamento dell’ecosistema dell’innovazione in Italia.
L’associazione ha inoltre sottolineato un dato molto rilevante: dal 2013 è stata in grado di raccogliere circa 2,3 miliardi di euro da investire in PMI e startup innovative, attualmente, di questi 1,1 miliardi sono ancora disponibili e costituiscono il Dry Powder, ossia la riserva di denaro a disposizione di una società di venture capital per venire incontro a obblighi futuri.
Italian Tech Alliance: quanto si investe in Italia?
Quanto si investe in Italia? È questa la domanda alla quale ha cercato di rispondere l’Italian Tech Association. Attualmente, è affermato nello studio, gli investitori istituzionali e le grandi corporate hanno investito rispettivamente soltanto il 14,9% e il 19,9% del totale incassato, molto meno rispetto agli altri Paesi.
Dallo studio, in particolare, emerge che le casse di previdenza professionali hanno investito 164,1 milioni, con un investimento medio di 10,9 milioni in 15 fondi; le fondazioni bancarie hanno investito 155 milioni di euro; i fondi contrattualistici complementari hanno contribuito con 23 milioni, il loro investimento medio si è attestato a 4,6 milioni ed ha interessato 5 fondi complessivamente. 11,6 milioni sono invece quelli riconducibili a fondi pensione aperti (FPA), piani individuali pensionistici (PIP) e compagnie assicurative, con un investimento medio di 1,7 milioni in 7 fondi.
Per quanto riguarda le grandi corporate e le banche gli investimenti complessivi si attestano complessivamente al 19,9%, grazie alle corporate (244,6 milioni, ossia il10,3%) e alle banche (227,3 milioni, ovvero il 9,6%). L’investimento medio per le corporate si attesta a 12,2 milioni di euro, mentre quello delle banche a 9,1 milioni. Nel primo caso i fondi coinvolti sono stati 20, mentre nel secondo 25.
Dallo studio emerge inoltre che a ricoprire un ruolo di particolare rilevanza sono gli investitori privati. Questi infatti hanno contribuito al 15,3% degli investimenti complessivi. In particolare, i Family Office e altre tipologie di investitori privati hanno messo a disposizione fondi per 296,7 milioni (ossia 12,5% del totale investito, con la presenza in 30 fondi e un investimento medio 9.9 milioni), mentre le SGR hanno investito 67,3 milioni, corrispondente al 2,8% del totale, per un investimento medio di 2,2 milioni e la presenza in trenta fondi.
Al comando rimangono gli investitori sovrani, che hanno investito il 49,9% delle risorse disponibili. Questa percentuale è divisa tra CDP Venture Capital SGR e Fondi regionali che contribuiscono per un totale di 693,9 milioni, pari al 29,3% del totale raccolto e un investimento medio di 26,7 milioni nei 26 fondi in cui sono presenti.
Si aggiungono poi i 488,5 milioni dell’European Investment Fund (EIF), che pesano per il 20,6% sulla raccolta complessiva, con una presenza in 15 fondi e investimenti medi di 32,6 milioni.
Perché in Italia mancano risorse da investire
Secondo lo studio è fondamentale che ci sia maggior coinvolgimento degli attori istituzionali e delle grandi corporate negli investimenti così da permettere all’Italia di crescere agli stessi ritmi degli altri Paesi.
Lle ragioni per cui l’Italia ha a disposizione meno fondi rispetto agli altri Paesi non è riconducibile solamente al minor apporto offerto da queste categorie. Altre motivazioni hanno a che fare con il fatto che i fondi debbano accantonare capitali per i follow on e che l’impiego dei capitali avviene su un orizzonte di almeno 10 anni.
Dallo studio emerge quindi che la somma disponibile attualmente non è sufficiente per alimentare debitamente il sistema e consentirgli di crescere, è perciò necessario coinvolgere maggiormente gli investitori.
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