Salari bassi e l’Italia diventa fanalino di coda Ue per aumenti salariali. L’analisi dei dati dell’ultimo report Eurostat.
Le informazioni più affidabili e aggiornate per confrontare gli stipendi dei 27 Paesi dell’UE sono quelle raccolte periodicamente da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione.
Sulla base dei dati più recenti, aggiornati al 20 aprile 2023, l’ente ha emesso un nuovo report sull’andamento salariale degli Stati comunitari. Guardando all’Italia però emergono diverse criticità. Il nostro Paese è fanalino di coda di questa recente classifica. Condividono con noi il primato negativo Paesi quali Malta, Finlandia e Danimarca.
Aumenti salari UE: il quadro generale
Il 2022 è di certo stato caratterizzato da una pesante inflazione globale, che ha raggiunto il livello record del 9,2 per cento nei territori comunitari, ma dobbiamo anche sottolineare come salari e stipendi orari medi siano aumentati in tutti i 27 Paesi membri con una media del 4,4 per cento. Gli aumenti più significativi in particolare sono stati registrati in Ungheria (+16,4 per cento), Bulgaria e Lituania.
Le retribuzioni degli italiani lo scorso anno invece sono aumentate solo del 2,3 per cento (da 20,8 a 21,2 euro all’ora). Pur trattandosi di un’apparente crescita, restiamo al di sotto della media europea pari a 22,9 euro all’ora. E la situazione peggiora ancora se si guarda il club riservato alla zona Euro, dove mediamente si guadagnano 25,5 euro all’ora.
Questo (esiguo) aumento della retribuzione oraria media è stato registrato nei settori dell’industria, delle costruzioni e dei servizi. Secondo i dati Eurostat, le attività economiche che hanno registrato i maggiori incrementi annui nel 2022 sono state “l’estrazione mineraria” (+9,6), seguita dalle “attività professionali, scientifiche e tecniche” (+6,4), per poi toccare la “fornitura di energia elettrica, gas, vapore e condizionamento” e le “attività finanziarie e assicurative” (entrambe +5,6 per cento).
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Il rapporto con Francia e Germania
Un metro di paragone spesso utilizzato è quello di Germania e Francia, le due maggiori potenze economiche del continente davanti all’Italia.
Ecco, in questo caso entrambe hanno visto aumentare le proprie retribuzioni medie all’incirca del 4 per cento.
Altro impressionante rapporto è quello in base ai dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) che partono dai prezzi del 2020 e decretano come, negli ultimi 30 anni, «i salari reali medi degli italiani - dunque tenendo in considerazione l’impatto dell’inflazione - siano diminuiti di più di mille euro, (il 3,6 per cento) passando da 28.800 a 27.800 euro».
Negli altri principali Paesi europei invece è successo il contrario: in Spagna i salari medi sono aumentati del 6 per cento circa, in Francia del 31 per cento e in Germania del 34 per cento.
Le critiche al Decreto Lavoro
Di fronte a questi dati e in vista del decreto Lavoro che il Governo presenterà il 1° maggio, diversi esponenti del Pd si sono fatti sentire sostenendo che la maggioranza con il suo operato e con le sue proposte in via d’approvazione non investa nella giusta direzione.
La responsabile Lavoro del Pd Cecilia Maria Guerra, sul fronte delle imprese, in particolare denuncia il mancato impegno dell’esecutivo a «sollecitare il rinnovo dei contratti privati scaduti per più di 6 milioni di lavoratori». Rispetto al testo del decreto poi, al netto del modesto aumento del taglio del cuneo fiscale e un incentivo all’assunzione dei Neet (i giovani che non studiano né lavorano), viene rimarcato come questo tipo di incentivi non favorisca l’occupazione ma si limiti a premiare le aziende che comunque assumerebbero i lavoratori di cui hanno bisogno.
Posizioni come detto sostenute ampiamente anche dai colleghi di partito che, in queste ore, si muovono compatti. Ne è un esempio concreto il recente intervento del responsabile economia della segreteria nazionale Antonio Misiani. A suo dire infatti il Dl in arrivo «allarga le possibilità di ricorrere al lavoro precario».
Sugli stessi termini e negli stessi toni anche il tweet della vicepresidente Chiara Gribaudo:
«Dal governo l’ennesima provocazione: il Primo maggio presenteranno il Dl Lavoro, che sarebbe più giusto chiamare Dl Precarietà».
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