Stipendio più alto ricevuto per sbaglio, il lavoratore deve restituire i soldi? Ecco le regole previste dalla legge.
Notizia bizzarra di questi giorni è quella di un operaio cileno che ha ricevuto sul proprio conto uno stipendio 330 volte superiore al suo. Una cifra che, di norma, avrebbe guadagnato in 27 anni.
L’uomo, pagato molto più del dovuto, davanti a cotanta ricchezza si è dimesso e dopo la promessa di restituire i soldi ha fatto perdere le proprie tracce, lasciando tutto, tranne i soldi.
Noi cosa avremmo fatto al suo posto? Certamente difficile ipotizzare di ricevere una cifra così alta per sbaglio. Ma di certo potremmo trovarci davanti a una situazione più probabile, ovvero quella in cui ci viene accreditato uno stipendio di importo maggiore rispetto a quanto dovuto.
Si può scegliere la via dell’onestà, restituire subito la cifra finita per errore sul nostro conto corrente. Oppure fare finta di niente e spendere le somme che non ci spettano sperando che nessuno si accorga. Ma prima o poi il datore di lavoro si accorgerà e a quel punto quali saranno le conseguenze legali del nostro atteggiamento?
La giurisprudenza annovera numerosi casi in cui al dipendente vengono riconosciuti, per errore, dei compensi che non dovrebbero spettargli in busta paga o addirittura che, nonostante la cessazione del rapporto di lavoro, la retribuzione gli venga ugualmente accreditata.
Approfondiamo in questo articolo quali sono le conseguenze se tratteniamo le somme non dovute e le spendiamo, entro quanto tempo dovremmo restituirle e quando tale condotta rientra nella fattispecie di reato.
Stipendio più alto per errore: il lavoratore deve restituire i soldi?
Nella situazione in cui ci si trovi erroneamente con un importo maggiorato, accreditato sullo stipendio i dubbi che si pongono possono essere diversi. Sicuramente nel caso in cui l’accredito di un importo maggiore sia avvenuto una sola volta e ci si rende conto dello sbaglio, il lavoratore ha l’obbligo di restituzione della cifra ricevuta per errore materiale.
Si pone il caso poi, di chi, magari in buona fede, ha continuato a percepire tali somme e chissà anche a spenderle adeguando il proprio stile di vita alla quantità di denaro erroneamente incassata; in questo caso come ci si comporta e quando sussiste un obbligo di restituzione?
Inoltre, se si contempla l’idea della necessaria riconsegna del denaro, qual è il termine di prescrizione cui sarebbe soggetto il pagamento? Infine, quando si configura il reato di appropriazione indebita da parte del dipendente che, pur accortosi di ricevere uno stipendio che non gli è dovuto, non abbia informato il datore di lavoro?
Insomma gli scenari possono essere diversi, anche perché alle eventuali conseguenze penali, quindi dalla possibile contestazione di un reato nei nostri confronti, possono realizzarsi eventuali obblighi restitutori in via civile.
Stipendio maggiorato ricevuto per sbaglio: quando è reato?
La condotta del cittadino che abbia ricevuto il bonifico di una somma non dovuta e non provvede a restituire quanto richiesto può essere ricondotta all’ipotesi di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 c.p.
Questa norma del Codice, sanziona con la reclusione da due a cinque anni e la multa da mille a 3mila euro la condotta di chiunque, per procurare a sé ad altri un ingiusto profitto si sia appropriato di denaro o cosa mobile altrui di cui abbia a qualsiasi titolo il possesso. L’appropriazione indebita è procedibile sempre con querela di parte.
Ma attenzione: quando l’appropriazione ha a oggetto una somma di denaro, il reato si configura solo se l’agente viola la specifica destinazione di scopo a esso impressa dal proprietario.
Pertanto, visto che lo stipendio non viene mai vincolato a un determinato scopo, se non a quello generico della sopravvivenza, non si può parlare di reato. Questo principio è stato stabilito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 8459/2019: la semplice violazione dell’obbligo di restituire le somme non integra il delitto previsto dall’articolo 646 del Codice Penale ma ha rilevanza civile.
Infatti si tratta di indebito arricchimento ex articolo 2041 del Codice Civile. Non basta, quindi, il semplice inadempimento dell’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute a integrare il reato di rilevanza penale.
Il dipendente in buona fede deve restituire lo stipendio ricevuto per sbaglio?
Se il dipendente si trova in una condizione di buona fede ed ha percepito magari per anni una gratifica sulla busta paga a cui non aveva più diritto o un rimborso spese che non è più dovuto, è tenuto a restituire tutte le somme che gli sono state accreditate.
Come vedremo, il datore di lavoro ha diritto a ottenere le somme che non erano dovute e che sono state erogate solo a causa di un errore materiale. Allo stesso modo il lavoratore si potrebbe trovare in difficoltà davanti alla richiesta di restituzione di una parte dello stipendio, avanzata dopo molti anni avendo conformato il proprio tenore di vita all’intero stipendio percepito.
Nel caso di pubblico dipendente, il dovere di correttezza e trasparenza, unito a quello di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione impongono al lavoratore di rimborsare all’ente gli stipendi o le voci dello stipendio a lui versate per errore.
Se si è invece lavoratori nel privato, la tutela dell’affidamento del dipendente è stata maggiormente tutelata dalla Giurisprudenza, laddove si ravvisi la buona fede. La Cassazione ha mostrato un atteggiamento molto favorevole al percettore delle somme non dovute, stabilendo il seguente principio:
La corresponsione continuativa di un assegno al dipendente è generalmente sufficiente a farlo considerare, salvo prova contraria, come elemento della retribuzione.
Insomma la somma non va più restituita, se erogata in via continuativa per più mesi e va a costituire base di calcolo del Tfr.
Certamente fuori da questi casi, sussiste l’obbligo della restituzione degli importi versati per errore. Ma entro determinati termini di prescrizione che vedremo successivamente.
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Il diritto del datore di lavoro alla restituzione dell’erogazione non dovuta
Dal punto di vista del datore di lavoro, non c’è dubbio che, davanti a un’erogazione non dovuta egli abbia il diritto a chiedere e ottenerne la restituzione in applicazione dell’articolo 2033 del codice civile (Indebito oggettivo) secondo cui:
«Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda».
Il datore di lavoro, però, per ottenere la restituzione di somme che ritiene di aver erogato al lavoratore per errore, deve provare non solo l’errore, ma anche il suo carattere essenziale e riconoscibile.
Questo punto è stato stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza 9 giugno 2021, n.16088, con riferimento alla domanda riconvenzionale di una società volta a ottenere dal lavoratore la restituzione di somme versate in eccedenza a titolo di ore di lavoro non rese e di indennità di trasferte mai svolte.
Prescrizione delle somme illegittimamente versate
Anche nella peggiore delle ipotesi comunque, il dipendente non dovrà restituire tutte le somme percepite illegittimamente in busta paga ma solo quelle la cui restituzione non è caduta in prescrizione.
La giurisprudenza in merito ha chiarito che: «Il diritto del datore di lavoro alla restituzione di somme indebitamente percepite dal lavoratore si prescrive nel termine decennale, a nulla rilevando la modalità di erogazione al lavoratore di quanto non dovuto con ratei mensili di stipendio, termine che comunque decorre in costanza del rapporto di lavoro».
In pratica, anche si aprisse una controversia giudiziaria sulla restituzione di alcune voci dello stipendio, il lavoratore può essere chiamato a restituire solo gli arretrati degli ultimi 10 anni.
Con una recente sentenza n. 5648, depositata il 21 febbraio 2022 la sezione lavoro della Cassazione ha ribadito inoltre il principio, che ormai può considerarsi ius receptum nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la restituzione da parte del lavoratore di somme indebitamente percepite deve avvenire nei limiti di quanto effettivamente riscosso dal lavoratore medesimo, restando quindi esclusa la possibilità del datore di pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali, che non sono mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.
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