Il numero di lavoratori a tempo determinato dev’essere contenuto entro limiti imposti dalla legge o dal Ccnl. Qual è la quantità consentita? Ci sono dei lavoratori esclusi? E cosa si rischia?
La normativa italiana riconosce il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come la forma comune di rapporto di lavoro. Di conseguenza, tutte le altre tipologie contrattuali sono soggette a una serie di limitazioni in modo da condurre i datori di lavoro verso il contratto che garantisce maggiore tranquillità e garanzie al dipendente.
Sotto questo aspetto, il ricorso al contratto a termine è soggetto a una serie di parametri in termini di durata, numero di proroghe e motivazioni che spingono l’azienda ad assumere a tempo determinato.
A ciò si aggiunge il tetto al numero di dipendenti a tempo determinato presenti in azienda. Come capire se non si rispettano i limiti imposti dalla legge o dal contratto collettivo? Analizziamo la questione in dettaglio.
Il rispetto dei limiti numerici: si applica la legge o il Ccnl?
La normativa (articolo 21, comma 1 del decreto legislativo 15 giugno 2015 numero 81) afferma che, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato «in misura superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione» con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia uguale o superiore a 0,5.
Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei dipendenti a tempo indeterminato in forza al momento dell’assunzione.
In ogni caso, per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto a tempo indeterminato.
A questo punto l’azienda deve porsi l’interrogativo: cosa prevede il contratto collettivo?
Due sono le possibili situazioni:
- nel caso in cui il Ccnl nulla disponga in merito si applica il conteggio di legge appena citato, basato sul 20% dei lavoratori a tempo indeterminato al 1° gennaio dell’anno di assunzione;
- al contrario, si fa riferimento alle disposizioni del contratto collettivo.
Quest’ultimo è il caso di:
- Ccnl Alimentari-industria, dove si prevede un tetto, da calcolarsi in media annua, pari al 25% dei lavoratori a tempo indeterminato occupati al 31 dicembre dell’anno precedente (nei casi in cui il rapporto percentuale dia un numero inferiore a 10, resta ferma la possibilità di costituire sino a 10 contratti a tempo determinato);
- Ccnl Commercio e terziario-Confcommercio, in cui si dispone che le assunzioni effettuate «con contratti a tempo determinato e con contratti di somministrazione a tempo determinato non potranno complessivamente superare il 28% annuo dell’organico a tempo indeterminato in forza nell’unità produttiva» (articolo 74);
- Ccnl Impianti sportivi e palestre, dove in base al numero dei contratti a tempo indeterminato presenti all’atto dell’attivazione del rapporto a termine, questi ultimi sono ammessi in misura non superiore a 4 se la base di computo (dipendenti a tempo indeterminato) è compresa tra 0 e 4, 5 contratti a termine se la base di computo è tra 5 e 9, 6 contratti a termine se la base di computo è tra 10 e 20 e infine al 30% se la base di computo è superiore a 20 dipendenti a tempo indeterminato.
Quanti sono i tempi indeterminati?
Una volta stabilito il criterio da applicare (se la legge o il Ccnl) si calcola il numero dei lavoratori a tempo indeterminato.
Sempre in ragione di quanto previsto dalla normativa o dal contratto collettivo, si assume, a seconda dei casi, il numero degli indeterminati al 1° gennaio dell’anno di assunzione (decreto legislativo numero 81/2015) o con riferimento al momento dell’attivazione del contratto a termine o al diverso criterio imposto dal Ccnl (ad esempio il 31 dicembre dell’anno precedente).
Bene è precisare che nel calcolo dei lavoratori a tempo indeterminato quanti hanno un contratto part time devono essere riproporzionati in base all’orario svolto. Questo significa che, mentre un full time conta 1, il part time al 50% conta 0,5 (50/100), mentre quello al 30% 0,3, al 40% 0,4 e così via.
Si applica la percentuale sul numero degli indeterminati
Quantificato il numero dei lavoratori a tempo indeterminato, sullo stesso dev’essere applicata la percentuale prevista dalla legge o dal contratto collettivo.
Il risultato rappresenta il tetto massimo al numero di contratti a termine che l’azienda può avere in organico.
I contratti a termine esclusi dal computo
Prima di procedere alla verifica sul rispetto dei limiti numerici, l’azienda deve escludere dal conteggio dei lavoratori a tempo determinato le categorie previste dalla legge e/o dal contratto collettivo.
Il decreto legislativo numero 81/2015 stabilisce infatti (articolo 23, comma 2) l’esclusione dal conteggio per i contratti a termine conclusi:
- nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici;
- da imprese startup innovative per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società, ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 dell’articolo 25 decreto legge numero 179/2012 per le società già costituite;
- per lo svolgimento delle attività stagionali;
- per specifici spettacoli, ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive;
- per sostituzione di lavoratori assenti;
- con lavoratori di età superiore a 50 anni.
Ulteriori ipotesi di esclusione possono essere previste dal Ccnl applicato.
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Il calcolo dei tempi determinati
Una volta sottratti dal numero complessivo dei lavoratori a tempo determinato i dipendenti appartenenti alle categorie escluse, al datore di lavoro non resta che verificare se i contratti a termine in forza rispettano il tetto imposto dalla legge o dal contratto collettivo.
A livello pratico si segnalano due differenti scuole di pensiero sul calcolo dei contratti a termine. Da un lato l’atteggiamento prudenziale di quanti calcolano i tempi determinati «per teste», senza pertanto riproporzionare i lavoratori part time. Dall’altro la teoria per cui, riproporzionando i lavoratori a tempo indeterminato part-time, per una questione di equità, la stessa operazione dovrebbe essere svolta per i contratti a termine.
Il dubbio è di quelli da non trascurare. Se ad esempio l’azienda ha in organico 2 lavoratori a tempo determinato con part time al 30% e altri 4 con part time al 50%, il conteggio sarà:
- per la linea prudenziale, 6 lavoratori a termine;
- per il riproporzionamento, 0,3 * 2 = 0,6 cui si aggiungono 4 * 0,5 = 2 per un totale di 2,6 (valore arrotondato a 3) lavoratori a termine.
Sul punto si auspicano chiarimenti da parte degli organi competenti e della stessa giurisprudenza di merito e Cassazione.
Quali sono le sanzioni previste?
Secondo la normativa (articolo 23, comma 4) in caso di violazione del limite percentuale si applica una sanzione amministrativa pari a:
- 20% della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
- 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno.
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