Le azioni su cui puntare per investire sul petrolio

Roberto Donzelli

22 Maggio 2021 - 18:00

Non tutte le azioni petrolifere sono uguali. Andiamo alla scoperta delle diverse tipologie di società che operano in campo petrolifero e delle opportunità che offrono

Le azioni su cui puntare per investire sul petrolio

In un recente articolo abbiamo parlato delle azioni petrolifere e delle opportunità di investimento in questo comparto.

Non tutte le azioni petrolifere però sono uguali. All’interno di questo comparto in realtà troviamo diverse società, diversi modelli di business, e ovviamente anche diverse opportunità.

Le azioni petrolifere più famose: le major integrate

I nomi che ci vengono subito in mente quando parliamo di azioni petrolifere sono ENI, Exxon, Chevron, Total, Royal Dutch Shell e British Petroleum.

Si tratta delle grandi major integrate, società che coprono tutta la filiera del petrolio, dall’esplorazione all’estrazione, dalla raffinazione alle pompe di benzina, passando spesso anche per la petrolchimica. Quasi tutte negli ultimi anni hanno ampliato la loro attività invadendo anche il campo delle utility, con la produzione e il marketing di energia elettrica, oltre che la produzione da fonti rinnovabili.

Coprendo interamente il ciclo petrolifero, queste società sono spesso stabili e solide, pagano buoni dividendi e sono abbastanza immuni da crisi geopolitiche locali. Il loro andamento in Borsa è inevitabilmente legato al prezzo del petrolio, ma comunque non in modo assoluto, dato che quando il prezzo del greggio scende riescono a migliorare poi le performance di altre divisioni, in particolare quelle più vicine al consumatore finale. Per contro, con un prezzo alto guadagnano molto da estrazione e produzione, magari anche dalla raffinazione, ma potrebbero faticare di più nelle aree del marketing. Spesso queste major sono espressione e proiezione dei Paesi stessi di origine, come ENI per l’Italia, Total per la Francia, Petrobras per il Brasile, Petrochina per la Cina e così via.

Sono titolo buoni per chi vuole un’esposizione sul petrolio senza una volatilità estrema, ma comunque sappiate che difficilmente riuscirete a fare il +100% in due o tre mesi, perché le capitalizzazioni sono piuttosto elevate.

Servizi e macchinari

Una seconda area delle azioni petrolifere comprende i produttori di macchinari e fornitori di servizi. Si tratta di aziende specializzate nella produzione di attrezzatura per le raffinerie, per l’estrazione e, in generale, per la lavorazione del petrolio e la sua distribuzione. Parliamo di produttori di oleodotti e pipelines in genere, robotica on shore e offshore per estrazione, prodotti e soluzioni per la perforazione e così via.

In Italia è particolarmente nota la Saipem e per certi versi la stessa Tenaris appartiene a questo segmento. A livello mondiale, i player maggiori sono le americane Schlumberger e Halliburton.

Queste aziende sono fortemente legate al prezzo del petrolio, perché sebbene non vendano greggio, di fatto la crescita degli ordinativi di macchinari e servizi si ha quando aumentano gli investimenti delle major e delle aziende di produzione. E gli investimenti aumentano quando il prezzo del petrolio è sufficientemente alto da remunerarli bene. Rispetto al segmento delle «integrate» la volatilità di questo comparto è maggiore. Il che non è buono in assoluto, ma quando le aspettative sono per un rialzo del greggio i rialzi di queste società sono notevoli.

Esplorazione e produzione/estrazione

A differenza delle «integrate», queste sono aziende che si concentrano sull’esplorazione e la produzione di greggio. Quest’ultimo viene poi venduto alle varie raffinerie locali o alle major stesse. Normalmente non si occupano di raffinare il greggio e commercializzare i prodotti petroliferi. Il loro modello di business è abbastanza semplice. Cercano petrolio e lo estraggono. Sono clienti del segmento «macchinari e servizi» appena visto e fornitori dei «raffinatori» e in alcune aree geografiche anche delle «integrate».

La più grande azienda al mondo di questo segmento è l’americana ConocoPhillips, un tempo major integrata che poi ha scorporato l’attività di raffinazione (oggi Phillips66), restando appunto player nella sola esplorazione e produzione. Altri player importanti sono Occidental Petroleum, Marathon Oil e Canadian Natural Resource.

Qui il legame con il prezzo del greggio inizia ad essere maggiore, visto che normalmente non hanno attività che esulano dalla pura produzione di petrolio e gas. Risentono però dell’eventuale aumento del prezzo dei macchinari quando si è vicini al picco del ciclo petrolifero, perché le spese in conto capitale per estrarre petrolio e gas e fare esplorazione sono spesso rilevanti. Anche queste società spesso pagano buoni dividendi.

Raffinatori

Parlando del segmento precedente, abbiamo introdotto il gruppo dei «raffinatori». Queste aziende generalmente non si occupano di esplorare o estrarre greggio, ma lo acquistano dai produttori e/o dalle integrate e lo raffinano.

Per queste aziende è molto importante la logistica, in particolare la localizzazione delle raffinerie e la capacità di trasporto/stoccaggio per portare i prodotti raffinati sui mercati di sbocco. È poi molto importante l’efficienza della raffinazione, quindi l’ottimizzazione della dimensione per raggiungere le maggiori economie di scala evitando, al tempo stesso, un’eccessiva capacità produttiva inutilizzata nei periodi di magra. Non raramente, alle sole raffinerie si aggiunge il business del marketing dei prodotti, sia industriali e petrolchimici, sia vere e proprie catene di stazioni di carburante.

Sebbene il prezzo del greggio sia importante per queste aziende, la misura fondamentale della loro performance è il margine di raffinazione. A differenza delle aziende viste fino ad ora, qui i dividendi tendono ad essere più bassi, o quantomeno più irregolari. Non a caso ultimamente, soprattutto in Europa, alcuni raffinatori hanno affiancato il business di produzione elettrica da fonti rinnovabili per bilanciare un po’ la volatilità dei margini della raffinazione.

In Italia tra le maggiori società ci sono Saras e un tempo ERG (oggi attiva solo sulle rinnovabili dopo aver abbandonato il settore petrolifero). A livello americano/mondiale i maggiori operatori sono le americane Phillips66 e Valero Energy.

Midstream e distribuzione

Dalla produzione e raffinazione di greggio e gas naturale è ora il momento di spostarsi sui «distributori». Si tratta di società che si occupano di stoccaggio e distribuzione in particolare di gas naturale, il tutto tramite oleodotti e gasdotti. Quindi qui usciamo dal campo dei proprietari di giacimenti o di raffinerie e ci troviamo di fronte a proprietari di infrastrutture, al servizio degli altri segmenti e, ovviamente, dei consumatori finali.

Queste aziende sono molto meno dipendenti dal prezzo di mercato di gas naturale e petrolio, sebbene non ne siano chiaramente immuni. Questo perché tali prodotti sono in realtà la loro materia prima che viene acquistata. I loro ricavi sono invece legati alle tariffe per l’attività di distribuzione.

In Italia opera una delle maggiori aziende d’Europa e del mondo in questo settore, cioè Snam. A livello americano/mondiale, le maggiori società sono Enbridge, Kinder Morgan e TC Energy.

Queste società in America sono spesso operanti nella forma della Master Limited Partnership (MLPs), che prevede vantaggi fiscali per i profitti che vengono distribuiti agli azionisti. Il risultato è che gran parte di questi profitti sono appunto distribuiti, con dividend yield molto elevati. Anche Snam in Italia ha spesso un dividendo molto superiore alla media. Si tratta di un buon comparto per chi è a caccia di cedole.

Royalty e «contrattisti»

Resta da vedere una categoria residuale e con pochi player, per lo più americani, ma di cui vogliamo comunque fare un cenno.
Le società di Royalty petrolifera sono aziende che acquisiscono in proprietà o in affitto/leasing terreni da cui, dopo varie ricerche, si ritiene si possa estrarre greggio e gas naturale. Quindi, quando petrolio e gas sono effettivamente trovati, danno questi giacimenti in gestione ad estrattori, trivellatori o integrate, in cambio di una royalty. In questo modo, queste società possono concentrarsi nel cercare giacimenti e fare contratti favorevoli di acquisto/affitto con i proprietari, senza dover immobilizzare rilevanti risorse finanziarie per operare i pozzi. Spesso acquisiscono terre con giacimenti e pozzi già sviluppati ma di scarso interesse per i proprietari attuali. Sono più simili a società finanziarie/venture capital/fondi di investimento che non vere e proprie società industriali/petrolifere. Non a caso, come il gruppo precedente sono spesso organizzate come MLPs e pagano quindi alti dividendi. Tra i maggiori operatori ci sono Black Stone Minerals e Kimbell Royalty.

Sempre dentro questo gruppo, ma cambiando completamente tipologia, troviamo i trivellatori «contrattisti». Una delle poche società quotate degne di nota in questo ambito è l’americana Helmerich Paine. Questa azienda interviene nei giacimenti con proprie soluzioni tecniche di trivellazione e in cambio ottiene una remunerazione in base alla performance di estrazione ottenuta. Gli utili sono molto volatili, ma in ogni caso l’azienda cerca di pagare dividendi costanti.

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