Trump? “Vince per i suoi 3 anni di super economia e non solo”, ammette il New York Times

Glauco Maggi

19/01/2024

Chi non riconosce l’appeal di Trump,“ignora un fatto impressionante: lo standard di vita di una tipica famiglia americana è migliorato durante i tre anni di Trump prima della pandemia.”

Trump? “Vince per i suoi 3 anni di super economia e non solo”, ammette il New York Times

Il primo appuntamento ufficiale degli elettori repubblicani, in Iowa, con i candidati che puntano alla nomination è stato un mezzo plebiscito per Trump, che ha preso il 51% dei voti. Ron DeSantis con il 21% e Nikki Haley con il 19%, insieme, sono staccati di 11 punti e non lo preoccupano.

Tanto che si è complimentato con entrambi per “essere andati bene”, e non c’era il solito sarcasmo acido e irridente dei suoi comizi. Le prossime due primarie in New Hampshire e Sud Carolina potrebbero, in teoria, rianimare la Haley, che si era illusa di spodestare Santis dal secondo posto già in Iowa ed è la più delusa poiché sperava di poter annunciare che la corsa era diventata “un affare a due”, tra lei e Trump. Haley lo ha detto lo stesso, dopo i risultati, ma è la prima a sapere che non è (ancora) vero. DeSantis è scampato al rischio di un terzo posto che sarebbe stato umiliante e che lo avrebbe, probabilmente, eliminato come un Vivek Ramaswamy qualunque: il giovane imprenditore ha preso il 7,7% e ha abbandonato la gara dando contestualmente uno scontato appoggio formale a Trump. E probabilmente il grosso dei simpatizzanti per Ramaswamy (sono meno del 5% a livello nazionale oggi) seguirà il suo invito nelle primarie a venire.

L’ex presidente aveva intascato sponsorizzazioni importanti nei giorni scorsi, tra cui quelle dello Speaker Mike Johnson e del leader della maggioranza repubblicana della Camera Steve Scalise; tra i senatori, Marco Rubio e Rick Scott della Florida, e Tom Cotton dell’Arkansas; e tra i governatori Doug Burgum del Nord Dakota. Il top dell’establishment repubblicano, più o meno riluttante, si sta insomma accodando a Trump. Non stupisce che, da leader sempre più sicuro di sé, lui si sia offerto nella versione del vincitore magnanimo, con quel linguaggio del corpo bonario e accattivante che aveva cominciato a sperimentare nelle settimane scorse moderando i toni e la voce nelle sue uscite. La strada sembra spianata per Trump, che nel discorso della vittoria ha voluto apparire “presidenziale”. Ha fatto un appello alla unità nel paese, lui divisivo per eccellenza, come se si sentisse già alla Casa Bianca. Addirittura ha auspicato, istrione, che “ognuno nel nostro Paese stia insieme agli altri. Vogliamo che siano tutti insieme, repubblicani o democratici o liberal o conservatori. Sarebbe così carino”, ha esagerato senza pudore, “se potessimo mettere fine alle morti e alle distruzioni di cui siamo testimoni”. Amen. [...]

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