Si può cedere la nuda proprietà della casa in cambio di cure e assistenza? Storica sentenza della Corte di Cassazione che può cambiare la vita ad anziani soli e con redditi bassi.
Una persona anziana e sola che ha bisogno di assistenza, o semplicemente ha desiderio di trascorrere gli ultimi anni della propria esistenza con la vicinanza di una persona, può decidere di disporre della nuda proprietà del proprio immobile in favore della badante ottenendo in cambio assistenza anche in presenza di eredi legittimi?
La risposta è “Sì” e a dirlo è la Corte di Cassazione. Si tratta di un atto di disposizione del patrimonio discrezionale per il proprietario.
La premessa è che in vita ognuno può disporre liberamente dei propri beni e vi può essere lesione di legittima soltanto in caso di donazioni oppure nei casi di circonvenzione di incapaci.
Cessione della nuda proprietà di un immobile in cambio di assistenza, è legale?
Raggiunta una certa età vi è l’esigenza naturale di non restare soli, si ha spesso paura di malori, oppure si è in condizioni di salute precarie che richiedono assistenza, in questi casi, soprattutto se non si ha una disponibilità economica tale da potersi permettere assistenza h24, può essere opportuno stipulare un contratto in cui in cambio di assistenza e cure si cede la nuda proprietà di un immobile.
Nel caso in oggetto l’anziana signora, in condizioni di salute non ottimali, ma per le quali non si poteva prevedere una morte imminente, anzi si poteva prevedere un progressivo aggravamento delle condizioni di salute che potevano richiedere un’assistenza abbastanza gravosa, cede la nuda proprietà dell’immobile di proprietà, mantenendo per sé l’usufrutto, in cambio di assistenza materiale e morale da parte della badante stessa.
La figlia, alla morte della madre, impugna l’atto in quanto ritiene che vi sia sproporzione tra gli obblighi assunti dall’anziana madre (trasferimento della proprietà dell’immobile) e le prestazioni messe a disposizione dalla badante.
Giudici: legittima la cessione dell’immobile alla badante
I giudici di primo e secondo grado, nel caso in oggetto, sono stati concordi nell’affermare che trattasi di un “contratto atipico, assimilabile a un vitalizio alimentare”. Sulla proporzionalità delle prestazioni tra l’anziana signora e la badante i giudici di primo e secondo grado hanno ribadito che:
- al momento della stipula del contratto le condizioni di salute della persona non lasciavano presagire i possibili tempi in cui sarebbe arrivato il decesso, di conseguenza la badante non poteva sapere per quale arco temporale sarebbe stata impegnata nell’assistenza materiale e morale. Potevano essere anche molti anni;
- a ciò si aggiunge che, viste le condizioni di salute, si poteva ipotizzare un aggravamento nel tempo delle condizioni per il quale la mole di lavoro da prestare sarebbe aumentata.
Ciò implica che al momento della stipula del contratto non si poteva prevedere la sproporzione tra le prestazioni delle parti. Di conseguenza, non era ipotizzabile una nullità del contratto.
La Corte di Cassazione con la sentenza 28329 del 10 ottobre 2023 ha sposato la tesi dei giudici di primo e secondo grado sottolineando che la stessa parte attrice (cioè la figlia della signora) ha addotto a prova della sproporzione elementi che in realtà dimostravano che il decesso non era ineluttabile e anzi che vi sarebbe stato un aggravamento delle condizioni di salute che avrebbero portato a un maggiore impegno da parte della badante. Nel momento del contratto era quindi impossibile sapere che le prestazioni sarebbero state sproporzionate.
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