Il termine “innovazione” è ormai sulla bocca di tutti, ma il nostro Paese si dimostra ancora indietro rispetto all’attuazione della vera Open Innovation.
Abbiamo parlato spesso delle difficoltà che ogni azienda può incontrare nel proprio percorso di rinnovamento, in molti casi frenato dalla resistenza al cambiamento e alla cultura digitale. Molto spesso si pensa che adottare una nuova tecnologia o fare una call per startup sia sinonimo di innovazione, ma questo è vero solo in parte. Fare innovazione è anche una questione di mindset, un processo culturale che si deve affermare gradualmente.
Un mindset che, nel nostro Paese, si dovrebbe affermare prima di tutto tra Governo e Pubblica Amministrazione per poter dare la spinta giusta al nostro tessuto industriale.
Ma ci sono comunque aziende che stanno portando in alto la bandiera dell’Open Innovation facendo da guida a chi, invece, ha ancora qualche timore. Da una ricerca di Mind The Bridge, infatti, viene fuori una fotografia della situazione delle aziende nostrane che lascia ben sperare.
Open Innovation in Italia: qual è la situazione attuale?
Stando ai dati delle aziende italiane che vengono riportati nella ricerca, si nota chiaramente un distacco rispetto ad altri Paesi europei, dove, soprattutto, è l’entità degli investimenti stanziati a fare la differenza. Si pensi alla Spagna che, attraverso il solo Corporate Venture investe 2,6 volte in più dell’Italia, mentre Francia e Germania addirittura tra 7 e 10 volte in più.
Nel report è presente anche un Open Innovation Index , ovvero un parametro di confronto tra le aziende italiane ed europee che racchiude una valutazione complessiva di tutte le attività di innovazione interna ed esterna che vengono condotte.
L’insieme di queste valutazioni permette poi il confronto tra le aziende in una Open Innovation Matrix qui sotto riportata.
Dal confronto emerge che la media italiana (ottenuta considerando le 25 aziende top della ricerca) si attesta intorno a un valore di 2,8 di questo indice, rispetto al 3,8 che corrisponde alla media europea.
Si nota, quindi, un distacco nitido tra il nostro tessuto industriale e quello europeo, ma il dato in sé non è poi così negativo.
Difatti, rispetto al 2020, si nota una aumento di 0,2 punti che conferma che il trend di crescita è positivo.
Inoltre, non sono solo le grandi aziende ad applicare modelli di Open Innovation, bensì anche le PMI - più o meno grandi e strutturate - che di recente hanno compreso sempre più fortemente le potenzialità di questo approccio.
Sebbene molto spesso le attività di Open Innovation vengono utilizzate per motivi di comunicazione, branding e PR (in sostanza, quindi, per ottenere un ritorno d’immagine), dalle analisi emerge che oggi sempre più aziende stanno iniziando ad applicare veri e propri modelli di collaborazione aperta affiancati a una visione strategica di medio-lungo periodo.
Quali sono le aziende che stanno applicando modelli di Open Innovation?
Nel panorama italiano si distingue sicuramente Enel, unica azienda italiana che ha ottenuto un indice superiore a 3,8 nella ricerca di Mind The Bridge.
Segnaliamo, però, anche altre iniziative di interesse.
Si pensi al Gruppo Prysmian, recentemente premiato all’evento SMAU, che sta attuando una serie di azioni per sostenere l’innovazione a livello globale, con l’obiettivo di confermarsi protagonista nei processi di transizione energetica, di digitalizzazione e di sostenibilità al servizio dei propri clienti e delle comunità. L’azienda sta coinvolgendo i dipendenti di tutti i suoi stabilimenti nel Mondo in gruppi multifunzionali che comprendono i dipartimenti di Operations, Quality e Digital Innovation nell’ambito di un percorso volto a definire una strategia globale di digitalizzazione del sistema produttivo.
Altro esempio è quello di Pirelli, che a gennaio 2021 ha lanciato un servizio “chiavi-in-mano” a disposizione dei dipendenti che include una flotta di e-bike di alta gamma, una piattaforma digitale per la gestione delle prenotazioni, un servizio di manutenzione ordinaria e supporto marketing e comunicazione.
Tutto ciò con l’obiettivo di presidiare il mercato emergente della micromobilità proponendo un servizio innovativo e promuovendo uno stile di mobilità sostenibile verso i propri dipendenti, ma anche verso i partner e le aziende clienti.
Ci sono, poi, anche altri esempi virtuosi che si basano su meccanismi di collaborazione con startup e acquisizioni.
Ad esempio: a gennaio 2020 Saipem ha acquisito una tecnologia proprietaria per la cattura di CO2 di una startup canadese; Tim lavora da alcuni anni con la startup Askdata per generare data analytics in tempo reale e ottimizzare gli interventi sugli impianti; ENI ha lanciato un vero e proprio programma di Coalescence Innovation che parte dal modello di formazione dei giovani talenti nell’ambito della scuola di impresa Eni Joule e giunge fino all’implementazione di vere e proprie piattaforme di procurement e collaborazione con startup; Poste ha definito accordi di collaborazione con startup in crescita come Milkman e Sennder per la gestione di alcune fasi del delivery.
Da questa disamina emerge come, tutto sommato, la situazione dell’Open Innovation nel nostro Paese non è così negativa. La spinta verso nuovi modelli di collaborazione aperta è in corso, anche se piuttosto lenta rispetto alla media delle aziende straniere.
La sfida per il prossimo decennio è quella di portare anche tutto il tessuto delle PMI italiane a digitalizzarsi e ad applicare modelli aperti. A tal fine, sarà fondamentale aumentare gli investimenti sull’innovazione ma, soprattutto, rimuovere progressivamente gli ostacoli e le paure dei manager che nell’era del new normal si trovano spesso a guidare le aziende con metodologie, strumenti e, soprattutto, mentalità ormai superati.
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