Book Calling #44: “Il lavoro che c’è” e le nuove opportunità Luca Maniscalco

Antonella Coppotelli

15/03/2022

Nel primo ventennio del nuovo secolo il mondo del lavoro è radicalmente cambiato. Negli ultimi due anni, poi, ha subito un’accelerazione incredibile creando scompiglio ma anche nuove opportunità.

Dall’inizio del nuovo secolo a oggi il mercato del lavoro è profondamente mutato, a tratti possiamo considerarlo irriconoscibile e quasi avveniristico. Quello che oggi noi consideriamo normale e come parte integrante della nostra vita come, per esempio connettività, utilizzo orizzontale della tecnologia e intelligenza artificiale che ci affianca persino quando guidiamo, fino a poco tempo fa era qualcosa di inimmaginabile o riservato a pochi.

Non scordiamo mai che smartphone, piattaforme social e accesso facilitato alla rete sono tutti elementi di cui abbiamo potuto beneficiare negli ultimi 15 anni. Periodo nel quale l’innovazione ha fatto passi da gigante, contraendo in poco tempo un’evoluzione che in altri momenti storici avrebbe necessitato di maggiore sedimentazione.

Di certo le ricadute non sono state avvertite solo nelle nostra routine quotidiana ma anche e soprattutto nel mondo del lavoro che ha visto sorgere nuove professioni e tramontare altre. Di questo ci parla il nuovo libro di Luca Maniscalco, conosciuto lo scorso anno come autore di “Afferma il tuo brand con Linkedin” e tornato nelle librerie con “Il lavoro che c’è” edito da Dario Flaccovio. Un’opera corale che giova del contributo di ben oltre 25 professionisti e autorevoli nomi quali Luisella Giani, Monica Parrella, Massimo Cerofolini e Luca Altimani - tanto per citarne alcuni - che hanno portato, a vario titolo il proprio contributo e hanno dato la propria visione sulle competenze richieste oggi, specie dopo due anni di pandemia, periodo in cui l’accelerazione avvertita nell’ultimo ventennio ha subito o beneficiato di un’ulteriore velocità, portando ancora di più scompiglio ma anche nuove opportunità. Come per esempio, le figure professionali che ruotano intorno al mondo dei big data e che a loro volta alimentano altri comparti.

I soldi non sono tutto nella vita, ma la felicità sì

Uno degli aspetti che emerge dall’analisi del libro è che chi cerca lavoro - indipendentemente che sia la prima occupazione o un cambio di maglia - non valuta più tra i criteri preliminari la leva economica. Non che contare su uno stipendio congruo non sia importante ma, a differenza di prima, non è più l’aspetto fondamentale. Con la pandemia, infatti si è riscoperto il fattore qualitativo del tempo e la flessibilità è diventato un asset davvero importante su cui puntare. Non è un caso che negli ultimi tempi abbiamo assistito al fenomeno mondiale della Great Resignation che ha visto protagonista anche l’Italia: dimissioni volontarie da parte dei più perché sono cambiate le priorità personali, a tal punto da rimettere in discussione anche il proprio percorso professionale.

Ecco, quindi, che il ruolo delle Risorse Umane diventa sempre più importante e centrale. Da un lato, infatti, deve affinare sempre più le capacità per intercettare caratteristiche “nuove” quali soft skills e quei valori che rendano un collaboratore una vera e propria risorsa e, dall’altro predisporre e garantire un clima aziendale atto a rincorrere anche la felicità. Non è un caso, infatti, che molti uffici si stiano dotando di Chief Officer Manager (CHO) specialisti in risorse umane che oltre ad avere le competenze amministrative per portare avanti il proprio ruolo, siano in prima persona coloro i quali sappiano prendersi cura delle proprie risorse attivando tutte le strade che portino i dipendendoti a essere felici e più produttivi.

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