La conferenza sul cambiamento climatico che si terrà a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre rischia di essere un flop a causa dell’aumento dei contagi da Covid-19 in Regno Unito.
La COP26, la conferenza sul cambiamento climatico, che si terrà in Regno Unito, precisamente a Glasgow, dal 31 ottobre al 12 novembre, rischia di essere un flop.
Quello che solo pochi mesi fa sembrava un appuntamento decisivo contro il riscaldamento globale, in particolare dopo i gravi eventi meteorologici a cui si è assistito la scorsa estate, potrebbe infatti essere disertato dai leader dei Paesi più inquinanti del mondo.
Le assenze più importanti riguardano il presidente cinese Xi Jinping, il quale rappresenta la nazione con maggiori emissioni inquinanti a livello globale, oltre a Vladimir Putin e Jair Bolsonaro.
Rischio flop per la conferenza sul cambiamento climatico a causa del Covid
Tra i motivi ufficiali per cui questi capi di Stato e di Governo potrebbero disertare il meeting cruciale per la situazione climatica del pianeta, il principale è legato all’aumento dei contagi di Covid-19 che si è registrato in Regno Unito nell’ultimo periodo.
Le ultime indiscrezioni riportano che, per fronteggiare il virus, il primo ministro Boris Johnson sarebbe pronto a introdurre nuove restrizioni, tra cui l’obbligo delle mascherine e del green pass.
Tuttavia, poiché la COP26 è prevista tra meno di una settimana, questi provvedimenti rischiano di essere tardivi e di non offrire ai partecipanti la piena garanzia di essere al sicuro dal virus.
Secondo diversi osservatori, però, questa sarebbe una scusa dietro la quale si stanno trincerando i rappresentanti degli Stati con i più alti livelli di inquinamento, così da non dover siglare alcun impegno che li porterebbe a incorrere in rischi finanziari nel breve periodo.
L’assenza dei Paesi più inquinanti alla COP26
Non sembra essere un caso, ad esempio, che alcuni dei possibili assenti all’incontro di Glasgow appartengano alla lobby che avrebbe fatto pressioni per cambiare il documento dell’ONU sul riscaldamento globale.
Il rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite mostrava infatti come le azioni intraprese dai Governi di tutto il mondo non rispettassero gli impegni presi in occasione della COP21 di Parigi del 2015 e che, dopo una riduzione osservata durante i lockdown del 2020, la produzione di emissioni inquinanti era rapidamente ripresa.
Al momento, quindi, l’obiettivo di rimanere al di sotto di un aumento delle temperature di 1,5°C appare sempre più lontano, vista la mancanza di unità di intenti su una reale transizione ecologica che impegni l’intera comunità internazionale.
Quali responsabilità per Boris Johnson?
Come hanno ammonito gli scienziati in più occasioni, se i parametri ratificati in occasione degli accordi di Parigi non verranno rispettati, si potrebbe presto raggiungere un punto di non ritorno, con l’impossibilità di frenare gli effetti devastanti del riscaldamento globale.
Per questa ragione la più ampia partecipazione da parte dei leader mondiali alla COP26 è di cruciale importanza nella lotta al cambiamento climatico.
Il suo mancato raggiungimento sarebbe da addebitare anche alla decisione di Boris Johnson di aver allentato le misure anti-Covid, causando così un’impennata dei contagi di coronavirus e, di conseguenza, dotando Paesi come Cina, Russia e Brasile di una scusa ufficiale per disertare il meeting.
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